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Sabato, 27 Aprile 2024
Il caso / Russia

La trappola di Putin per le aziende italiane rimaste in Russia

Oltre 200 società europee hanno mantenuto inalterata la loro presenza nel Paese dopo lo scoppio della guerra. Ma adesso incombe la "minaccia fiscale" di Mosca

Oltre 200 grandi aziende europee hanno continuato a fare affari in Russia all'indomani dello scoppio della guerra in Ucraina così come avevano fatto fino a prima dell'invasione. Tra queste, una dozzina sono italiane: colossi come Unicredit e marchi di punta come Benetton e De Cecco, secondo quanto riporta l'elenco dell'università di Yale. Per loro, però, c'è adesso il rischio di ritrovarsi a pagare un conto salato. Una "trappola russa", l'ha definita l'EUobserver.

Una delle ragioni della permanenza nel Paese, infatti, è legata alle agevolazioni fiscali concesse da Mosca per trattenere le imprese estere. Finora, "la maggior parte delle aziende europee non ha pagato quasi nessuna tassa all'interno della Russia sui propri profitti a causa di trattati di doppia imposizione favorevoli", scrive l'EUobserver. Nel marzo scorso, però, il ministero delle Finanze russo "ha proposto di congelare tali trattati fiscali con circa 40 Paesi 'ostili' che hanno imposto sanzioni alla Russia", come i Paesi dell'Ue per l'appunto. Le nuove regole potrebbero prevedere un'imposta fino al 25% sui profitti realizzati nel Paese.

Una tale stangata potrebbe spingere colossi come Armani, l'austriaca Red Bull, le olandesi Phillips e Heineken, o ancora la francese Accor e la tedesca Bosch, a rivedere i loro piani e ad abbandonare la Russia. Ma qui scatta la potenziale trappola di Putin: le aziende strategiche, come le banche (l'italiana Unicredit, per esempio) e le società energetiche, già oggi devono ottenere il permesso di vendere attività russe dalla commissione per gli investimenti esteri del ministero delle Finanze di Mosca. Il quale non rilascia più di 10 permessi al mese, tanto che la lista d'attesa attuale è di oltre 700 richiedenti, ha scritto il quotidiano indipendente russo Novaya Gazeta. Per rendere ancora più difficle la fuga, Mosca ha in progetto una tassa del 10% sui beni venduti dalle imprese che intendono lasciare il Paese. "Stiamo creando le condizioni affinché l'uscita (dalla Russia, ndr) non sia vantaggiosa per le imprese estere", ha detto lo scorso marzo il ministro Anton Siluanov al canale televisivo Russia 24.

Di fronte a questa trappola, cosa faranno le compagnie europee? La minaccia di una tassa sugli utili al 25% per il momento resta tale. Se Putin dovesse attuarla, di sicuro i vantaggi fiscali di cui hanno usufruito finora non saranno più tali. Inoltre, queste aziende si troverebbero a finanziare, loro malgrado, le casse di Mosca, e dunque anche l'esercito in guerra. Un conto è vendere bevande o vestiti ai cittadini russi, un altro è condividere i propri profitti con il Cremlino.

La Commissione Ue sembra voler tendere la mano a chi è rimasto in Russia. In seguito alla guerra, Bruxelles ha vietato i trasferimenti di denaro dall'Ue a oltre 1.600 persone e entità russe. Inoltre, è stato vietato agli studi legali europei di fornire servizi commerciali ai clienti russi. Secondo quanto proposto dalla Commissione nel suo ultimo pacchetto di sanzioni, questi due limiti saranno rimossi purché servano alle operazioni necessarie alle aziende Ue per lasciare la Russia. Il "figliol prodigo" può tornare a casa, è il messaggio di Bruxelles. Vedremo chi coglierà l'occasione.

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