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Sabato, 27 Aprile 2024
Un anno di Covid

Dal caos vaccini al successo del Green pass: la battaglia 2021 al Covid vista da Bruxelles

Lo smacco di Johnson, il braccio di ferro con AstraZeneca, le varianti e il certificato "salva-viaggi": l'operato della Commissione von der Leyen tra luci e ombre

Mettere ordine tra 27 Paesi in piena pandemia non è impresa facile. Tanto più quando la sfida non è solo interna, ma bisogna fare i conti con gli interessi delle multinazionali e la concorrenza di altre potenze straniere, in particolare di quella con cui hai appena divorziato. Va visto anche sotto questo aspetto il lungo 2021 della Commissione europea nella lotta al Covid-19. Un anno cominciato male, malissimo. Ma che nel prosieguo ha permesso alla presidente Ursula von der Leyen di rivendicare qualche successo non da poco. Oltre a dimostrare l'importanza di avere una regia a Bruxelles che superi le divisioni nazionali, soprattutto quando si tratta di viaggi e trasporti.

L'inizio zoppicante

Il 2021 inizia con la promessa di Bruxelles di vaccinare il 70% della popolazione adulta entro l'estate. Ma passano pochi giorni e il target fissato dalla Commissione europea sembra già una chimera. Al 31 gennaio 2021 – dati Statista – le vaccinazioni nel Regno Unito sono a quota 13,1% e in Israele al 54%, mentre in nessun Paese dell’Unione europea si riesce ad arrivare al 3%. 

Il primo dito viene puntato nei confronti dei ritardi da parte dell'agenzia Ue del farmaco, l'Ema, nell'autorizzare i vaccini rispetto ad altre autorità, come quella britannica. Poi, qualcuno comincia ad accusare Pfizer per le consegne mancate, dato che quello sviluppato dalla tedesca BioNTech è il primo vaccino autorizzato al commercio da Bruxelles. Lo fanno esponenti dei governi nazionali, come l'ex commissario italiano per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri, ma lo fa anche il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. 

Lo smacco di Boris

Le cose non vanno meglio neanche dopo che, il 28 gennaio, Bruxelles autorizza il vaccino dell'anglosvedese AstraZeneca, orgoglio di Sua Maestà dato che a svilupparlo è stata l'Università di Oxford. L'ingresso di AstraZeneca nel pacchetto di vaccini acquistati dall'Ue (a cui si era aggiunto anche Moderna) sembra poter velocizzare la campagna di vaccinazione, tanto più visto come questo farmaco (più facile da trasportare) sta favorendo l'immunizzazione a tempi record del Regno Unito: a poche settimane dall'addio ufficiale dall'Ue, per il leader della Brexit e del Paese Boris Johnson non sembra vero di poter recuperare lo smacco dei ritardi e degli errori accumulati nella prima fase della pandemia. Infliggendone uno non da poco a Bruxelles. Ma proprio l'ok di AstraZeneca peggiora ancora di più la situazione per la Commissione europea. 

Bruxelles, infatti, ha avuto il ruolo di centrale per gli acquisti dei vaccini per conto dei 27 Stati membri. Le trattative con le multinazionali del settore, condotte dall'italiana Sandra Gallina, sembrano essere stato un caso di successo quando, a fine 2020, Pfizer aveva annunciato che il vaccino sviluppato da BioNTech, uno di quelli su cui ha più puntato la Commissione, aveva superato con successo la terza fase della sperimentazione e che entro fine anno avrebbe potuto distribuire già 50 milioni di dosi.

La battaglia con AstraZeneca

L'annuncio, però, non teneva conto della complicata filiera di produzione dei farmaci, dall'approvvigionamento delle materie prime all'impacchettamento finale. Una filiera le cui contraddizione emergono con forza quando la polemica europea, a poco a poco, si sposta su AstraZeneca. Mentre Pfizer comincia a recuperare in parte i ritardi nelle consegne, infatti, la multinazionale AngloSvedese sembra invece avere qualche problema con le forniture nell'Ue, a differenza di quanto succede con il Regno Unito. A fine marzo, le dosi di AstraZeneca consegnata agli Stati dell'Unione saranno 30 milioni, contro i 120 milioni previsti dal contratto.

Proprio i contratti tra Bruxelles e Big Pharma finiscono sotto accusa: pur restando segreti per ragioni commerciali, i dettagli degli accordi cominciano a uscire sui media, rivelando una serie di scappatoie a favore delle case farmaceutiche. La Commissione si difende, e sempre attraverso vie mediatiche, comincia a farsi strada un altro elemento che potrebbe spiegare i ritardi: l'export di dosi confezionate in Europa ma finite altrove. Solo tra febbraio e marzo, sono stati 41,5 milioni i vaccini partiti da una delle fabbriche dell'Ue verso altri Paesi, in particolare nei magazzini britannici.

Quando la notizia esce, sembra che AstraZeneca abbia scelto di favorire Londra a scapito di Bruxelles. La Commissione europea ricorda agli Stati membi che già a fine gennaio aveva chiarito le regole sull'export di vaccini e loro componenti: eventuali blocchi spettano ai singoli Paesi, non a Bruxelles. Ma questo aspetto resta ai margini del dibattito pubblico, a meno fino a quando il neo premier italiano Mario Draghi blocca l'export da Anagni di 250mila dosi di AstraZeneca destinate all'Australia. 

La mossa, però, serve a poco, se non a ricordare a tutti che mettere dei blocchi all'export dei vaccini rischia di essere controproducente, almeno per l'Ue: come spiegato in quei mesi convulsi da Angela Hwang, presidente del settore Biopharma del gruppo Pfizer, per fabbricare una sola dose servono “280 materiali provenienti da 86 diversi siti di fornitura collocati in 19 Paesi diversi”. Se blocchi il vaccino che impacchetti in Europa, dunque, rischi che poi le fiale restino vuote. Non a caso, poche settimane dopo il blocco italiano, si scoprirà che ad Anagni non c'erano 250mila dosi, ma ben 30 milioni pronte a partire per l'estero.

La notizia, data dal quotidiano italiano La Stampa, non poterà a modifiche alle regole sul commercio, ma spingerà Bruxelles ad adire le vie legali nei confronti di Astrazeneca. A fine aprile, la Commissione fa causa alla multinazionale anglosvedese. Nel frattempo, però, gli Stati Ue annullano gli ordini del suo farmaco anti-Covid: i casi di effetti collaterali gravi, tra cui anche morti, spingono le autorità sanitarie a bloccarne la somministrazione. Da questo momento in poi, la strategia di Bruxelles diventa ancora più chiara: la Commissione punta tutto su Pfizer, con Moderna come seconda opzione, a cui poi si aggiungerà Johnson&Johnson (con scarsi risultati a dirla tutta). Alla fine, Bruxelles acquisterà ben oltre 2 miliardi di dosi solo da Pfizer: sembra un numero spropositato (più di 4 volte l'intera popolazione europea, compresi i bambini), ma gli sviluppi successivi ne chiariranno meglio la necessità. 

Il Green pass

La diatriba legale con AstraZeneca si chiuderà a settembre (con una pace di fatto tra il colosso farmaceutico e Bruxelles). Nel frattempo, i Paesi Ue hanno recuperato il terreno perso in precedenza nella campagna di vaccinazione, raggiungendo i livelli del Regno Unito. Il target del 70% della popolazione adulta europea vaccinata, però, non viene raggunto prima dell'estate, come promesso con forse troppa fretta da von der Leyen. Ci si arriverà qualche mese più tardi. Ma con l'arrivo dell'estate, la Commissione può comunque tirare un sospiro di sollievo e rivendicare finalmente qualche successo.

In particolare, Bruxelles può rivendicare di aver consentito agli europei di tornare a viaggiare con regole chiare per tutti grazie al Certificato digitale Covid, chiamato solo da noi Green pass (che poi era il nome originale, prima che il Parlamento Ue chiedesse di non usare a sproposito la parola "green"). Grazie al pass (che nella versione europea si limita solo ai viaggi) il turismo riparte: ne giovano soprattutto i Paesi del Sud, i più colpiti dalla prima ondata della pandemia: Italia, Spagna, ma anche Grecia e Francia. Gli sgambetti tra Stati Ue nell'estate 2020 per contendersi i turisti sono un lontano ricordo. Bruxelles avvia anche il tanto agognato Recovery fund, o Next Generation EU che dir si voglia, dopo che già ad aprile aveva sborsato le prima tranche di Sure, programma di prestiti agevolati poco conosciuto, ma che ha garantito i ristori e la cassa integrazione di milioni di cittadini in tutta l'Ue, in particolare in Italia. 

La terza dose e le varianti

Sembra che per Bruxelles sia giunto finalmente il momento di passare all'incasso (sotto il profilo dell'immagine) dopo lo smacco della prima parte dell'anno. La variante Delta, che aveva fatto temere il peggio a inizio giugno, non provoca nuove emergenze. E gli Stati, durante l'estate, cominciano a rilassare le misure. In alcuni casi anche in modo eccessivo, come si capirà più avanti. Il virus non certo è scomparso, ma anzi varia e potrebbe "bucare" i vaccini. Dall'Olanda alla Germania, i contagi ricominciano a salire in modo preoccupante. E gli esperti cominciano a parlare della necessità di una terza dose. La "colpa" viene data ai no vax, ma va anche detto che prima dell'autunno, la convinzione generale era che la cosiddetta vaccinazione primaria (due dosi per i vaccini mRna e AstraZeneca, 1 per J&J) sarebbe bastata a immunizzare le persone dal Covid, se non per sempre, a meno per lungo tempo. 

Il resto è cronaca di queste ultime settimane, con i Paesi a tornare ad adottare misure in ordine sparso, comprese quelle sul Green pass. La Commissione ha provato a rimettere ordine per salvare il turismo invernale, e in buona parte c'è riuscita, evitando che il Certificato Covid non diventasse obsoleto anzitempo. Ma la sfida, adesso, è garantire che i richiami non subiscano intoppi. L'anno si chiude con Omicron a guastare i festeggiamenti di Capodanno, ma con qualche speranza: la nuova variante è sì contagiosa, ma ha effetti nettamente minori su ospedalizzazioni e morti (almeno laddove si è più diffusa finora). Potrebbe essere la fine della pandemia, si spera. Di suo Bruxelles rivendica di aver già consegnato 1 miliardo di dosi di vaccini ai Paesi Ue e di averne prenotato almeno 3 miliardi per i prossimi due anni. 

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