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Domenica, 28 Aprile 2024
Lo studio / Russia

Come la Russia ha salvato il suo export di petrolio dalle sanzioni di Usa e Europa

In un anno, Mosca ha bruciato 34 miliardi. Ma l'impatto sarebbe stato notevolmente più alto se il tetto al prezzo del greggio e l'embargo fossero stati applicati come da attese

Le sanzioni economiche che l’Ue ha imposto alla Russia sono sostanzialmente fallite. Non tanto, o non solo, perché deboli in sé, quanto piuttosto perché è debole la loro applicazione. Nell’assenza quasi totale di un efficace sistema di controllo, infatti, chi infrange le regole non viene punito.

A rivelarlo è uno studio del Crea (acronimo inglese del Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita), un think tank finlandese che monitora lo stato dell’arte del regime sanzionatorio occidentale nei confronti di Mosca, inasprito dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Un anno esatto fa, il 5 dicembre, era stato fissato unilateralmente il tetto di 60 dollari al barile per il petrolio greggio russo (il cosiddetto price cap), con l’obiettivo di limitare la capacità del Cremlino di foraggiare la sua macchina da guerra.

Risultati inferiori alle aspettative

Ma, stando ai dati del Crea, gli effetti reali delle sanzioni adottate dagli Stati del G7 e dell’Ue (più l’Australia) sono stati molto inferiori alle aspettative. I proventi delle esportazioni della Federazione si sono contratti del 14% in un anno, equivalenti a mancati introiti stimati in circa 34 miliardi di euro. L’impatto delle sanzioni, osserva il centro studi finlandese, è stato maggiore nel primo trimestre del 2023, quando la Russia ha registrato un picco di perdite di 180 milioni di euro al giorno. A gennaio, ad esempio, i ricavi dai combustibili fossi sono crollati del 45% rispetto al mese precedente (con il petrolio greggio in flessione del 25%).

Il rapporto sottolinea tuttavia come, dalla metà dell’anno in corso, questo impatto è stato di fatto annullato da quella che viene descritta come “l’incapacità di applicare, rafforzare e monitorare costantemente il tetto dei prezzi”. Da 180 si è passati a 50 milioni di perdite giornaliere nel secondo e terzo trimestre, cifra poi risalita a 90 milioni. Le lacune nel sistema di monitoraggio hanno fatto sì che si potessero aggirare impunemente le sanzioni, con l’effetto che, di fatto, Mosca continua a vendere il suo greggio a prezzi superiori rispetto ai 60 dollari al barile. Ricordiamo, naturalmente, che la Russia continua a vendere petrolio a molti Stati che non aderiscono alle sanzioni occidentali, incluso il price cap, e che il volume di questi commerci si è espanso contestualmente alla riduzione di quelli con l’occidente.

La “scappatoia della raffinazione”

Con questa espressione il Crea punta il dito contro dei veri e propri “buchi” nell’impianto normativo, che consentono in maniera perfettamente legale ai Paesi che mantengono le sanzioni di importare comunque prodotti petroliferi derivati dal greggio russo. E non solo da Paesi terzi come l’India (che nel 2023 ha aumentato del 134% gli acquisti di greggio a basso costo da Mosca, che poi lavora e rivende ai membri Ue) o come l’Azerbaigian (per il quale vale un discorso simile ma relativo al gas naturale, che raggiunge l’Europa passando per l’Italia). Le regole vengono eluse anche dagli stessi Stati europei: è il caso della Bulgaria, dove la raffineria Neftochim Burgas, di proprietà del gigante petrolifero russo Lukoil, che ha infranto il divieto di importazione del greggio russo, deciso da Bruxelles, acquistandone per oltre 1,1 miliardi di euro.

C’è poi un’altra scappatoia adottata dal Cremlino, ossia quella delle cosiddette “flotte fantasma”. Si tratta di navi cisterna russe che vengono acquistate da altre nazioni, ma che continuano a trasportare idrocarburi per conto della Federazione. Ma c’è dell’altro, che ha quasi dell’incredibile. Nel solo mese di ottobre 2023, il 48% delle spedizioni di greggio russo è avvenuto su petroliere di proprietà di Stati membri del G7 e dell’Ue, o assicurate in essi.

Questo significa, conclude il Crea, che le leve giuste per applicare più efficacemente e in maniera più stringente il regime di sanzioni imposte su Mosca sono già nelle mani dei Paesi occidentali. A mancare, evidentemente, è la volontà politica di azionarle. E dello stesso parere è anche Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Il tetto al prezzo del petrolio è stato progettato molto bene, ma la parte più debole è sempre stata l’applicazione”, ha dichiarato, secondo quanto riportato da Politico.

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