rotate-mobile
Venerdì, 26 Aprile 2024

Putin non deve vincere la guerra, ma neppure perderla

Se si prova a cercare nella ridda di dichiarazioni di questi mesi dei leader occidentali, si può notare che sebbene tutti convergano sul fatto che la Russia di Vladimir Putin non debba vincere la guerra in Ucraina, nessuno dei principali governi dell'Ue ha ancora affermato a chiare lettere che Mosca debba perdere il conflitto. Non lo ha detto Mario Draghi, così come il cancelliere tedesco Olaf Scholz. E non lo ha detto neppure il presidente francese Emmanuel Macron, il cui Paese ha forse meno da perdere rispetto a Germania e Italia in caso di rottura totale delle relazioni commerciali con la Russia. Anzi, il capo dell'Eliseo ha tenuto ad avvertire a inizio maggio che l'Ue "non è in guerra contro la Russia" e che una "umiliazione" di Mosca possa creare una serie completamente nuova di problemi.

La parola non detta

Se Parigi, Berlino e Roma non hanno mai pronunciato la parola "sconfitta" la ragione è chiara: non è una dimenticanza, ma è una precisa volontà dell'asse di comando dell'Ue di non cedere alle pressioni di Usa e Paesi europei dell'Est, e di trovare una soluzione diplomatica alla guerra che eviti di dover fare i conti con due grandi problemi geopolitici: una Russia destabilizzata, e un'Ucraina devastata e democraticamente debole da dover "adottare" in tempi rapidi.

Per quanto riguarda la destabilizzazione della Russia, la "grande preoccupazione" di Germania e Italia è che perdendo il conflitto, Mosca possa diventare "ancora più imprevedibile" e rendere impossibile "una normalizzazione dei collegamenti energetici", scrive Politico. Un aspetto che è emerso all'ultimo vertice Ue a Bruxelles, e che è rimasto sotto traccia, riguarda proprio la questione energetica. Se Scholz ha spinto con forza per chiudere, dopo quasi un mese di trattative, il nuovo pacchetto di sanzioni con tanto di embargo al petrolio russo, non è stato per rilanciare l'escalation punitiva dell'Ue nei confronti di Putin, ma al contrario per porvi un limite. 

La questione energetica

Colpire l'oro nero del Cremlino, sempre che la sanzione venga attuata, avrà un impatto sull'economia russa, ma Mosca ha i mezzi e le relazioni per poter incassare il colpo, e anticipare in qualche modo una rimodulazione degli accordi commerciali internazionali legati al petrolio che prima o poi avrebbe dovuto affrontare, un po' come successo già prima della guerra con il carbone: se l'Europa sarà seria nel perseguire il suo Green deal, i rifornimenti di greggio, russo e non, sono destinati a contrarsi indipendentemente dalle mosse di Putin.

Diverso il discorso sul gas: pensare di poter chiudere i rubinetti di Gazprom in tempi relativamente rapidi puntando sullo shopping di gas naturale liquefatto (gnl) in giro per il mondo, e riempiendo di pannelli solari e pompe di calore gli edifici europei, si scontra con diversi limiti, da quelli tecnici e quelli socio-economici. Senza dimenticare che smuovere il mercato del gnl comporta contraccolpi geopolitici, come dimostrano le proteste dell'Australia sui recenti accaparramenti europei di forniture di gas liquefatto da Paesi terzi. Ecco perché, come abbiamo scritto a margine dell'ultimo vertice Ue, il gas non si tocca, almeno per ora. E dopo il petrolio, Bruxelles non ha più un mandato largo dalle capitali per proseguire sulla strada dell'escalation delle sanzioni energetiche contro Mosca.

Salvare la faccia di Putin 

L'obiettivo di Germania, Francia e Italia è raggiungere adesso una risoluzione del conflitto che “salvi la faccia” di Putin, anche se dovesse costare all'Ucraina un po' di territorio. Il problema non è tanto il destino del leader del Cremlino, ma il costo di una Russia destabilizzata. È abbastanza condiviso da tutti che, a prescindere da come finirà la guerra, l'Occidente dovrà lavorare a un nuovo ordine mondiale. Ma se Putin dovesse perdere il conflitto, questo nuovo ordine potrebbe essere un incubo per l'Europa. 

"La Storia ha dimostrato che è immensamente difficile costruire un ordine internazionale stabile con un potere revanscista e umiliato vicino al suo centro, specialmente uno delle dimensioni e del peso della Russia", scrivono Liana Fix e Michael Kimmage su Foreign Affairs, che ricordano le conseguenze degli "impulsi revanscisti" che "si sono infettati in Germania dopo la Prima guerra mondiale". In caso di sconfitta, se Putin mantiene la sua presa sul potere, "la Russia diventerà uno Stato paria, una superpotenza canaglia (...) ma con il suo arsenale nucleare intatto". Se invece il leader del Cremlino dovesse cadere con tutto il suo sistema di potere, "è improbabile che il Paese emerga come una democrazia filo-occidentale. Potrebbe dividersi, specialmente nel Caucaso settentrionale. Oppure potrebbe diventare una dittatura militare con armi nucleari". Del resto, raramente un Paese "trae profitto da una guerra persa".

Gestire il dopoguerra

Dover gestire l'una o l'altra eventualità, poi, sarebbe compito dell'Europa. E visto che gli Stati Uniti, come reso palese in più occasioni da Jeo Biden, intendono spostare i loro sforzi internazionali sulla Cina, nell'Ue si aprirebbe un vaso di pandora che sconvolgerebbe gli attuali equilibri non solo internazionali, ma anche della stessa Unione. Da un lato, c'è Pechino, che "potrebbe cercare di rafforzare la sua influenza su una Russia indebolita, portando esattamente al tipo di costruzione di blocchi e al dominio cinese che l'Occidente voleva impedire all'inizio degli anni '20", scrivono sempre Fix e Kimmage.

Ma dall'altro, c'è l'Est Europa, guidato dalla Polonia, che potrebbe rafforzare il suo peso dentro la Nato e dentro la stessa Ue, spingendo per inaugurare una stagione di confronto permanente con la Russia. E facendo leva sui suoi rapporti privilegiati con l'Ucraina. Questa eventualità non piace a Berlino e Roma, ma neppure a Parigi. Non è un caso che proprio in Francia si siano levate le voci più nette contro un ingresso rapido di Kiev nell'Unione europea. "Ci vorranno almeno 20 anni", ha detto il governo francese. 

L'allargamento a Est

Parigi da tempo sottolinea come l'allargamento a Est dell'Ue sia stato fatto con troppa velocità e poca attenzione alle sue conseguenze. Inglobare l'Ucraina sotto la spinta del fervore solidale porterebbe a fare i conti con una democrazia che anche prima della guerra era debole, così come erano deboli le democrazie di Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria quando sono entrate nel blocco. Con l'adesione, Varsavia avrà pure fatto progressi enormi sotto il profilo economico, ma sullo stato di diritto lo scontro con Bruxelles è sotto gli occhi di tutti. E avere Kiev al proprio fianco, aumenterebbe la forza della Polonia negli equilibri Ue. 

Per tutte queste ragioni, Germania, Francia e Italia stanno lavorando a un accordo di pace da raggiungere il prima possibile. Le opzioni sul tavolo per mettere d'accordo Kiev e Mosca ci sono. Ma bisogna prima di tutto trovare un'intesa con gli Stati Uniti. Del resto, non è stato un caso che quando il presidente ucraino Zelensky ha aperto alla possibilità di cedere la Crimea, il leader della Nato Stoltenberg si sia messo pubblicamente di traverso. 

"Hanno fatto un deserto..."

La partita si gioca sul tempo, perché più dura il conflitto, più si concretizzerà l'eventualità di una Ucraina da "adottare" senza se e senza ma, e di una Russia destabilizzata e incontrollabile. In pochi pensano che Kiev possa vincere una guerra per logoramento, come in pochi pensano che a Putin possa bastare un trionfo sul campo per non venire travolto dalle conseguenze economiche di un conflitto di lunga durata. "Hanno fatto un deserto, e lo hanno chiamato pace", scrisse Tacito. Forse è ora che l'avanzata del deserto in Ucraina si arresti.

Si parla di

Putin non deve vincere la guerra, ma neppure perderla

Today è in caricamento