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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il caso / Francia

Insulta e chiama "putt**a" la vittima di uno stupro, sospeso poliziotto

L’agente è stato inchiodato dalla registrazione di una sua conversazione con i colleghi

Un poliziotto a Parigi ha insultato e dato della “putt**na” ad una giovane donna che aveva appena denunciato uno stupro. L’uomo lo ha fatto parlando con i suoi colleghi e pensava di non essere ascoltato da altri, ma la sua voce è stata registrata e l’episodio gli è costato la sospensione. Diversi gruppi per i diritti delle donne hanno reagito con sdegno dopo che l'audio è stato anche pubblicato sul sito web investigativo Mediapart.

La vicenda, riportata dal Guardian, risale ad inizio mese. La mattina di sabato cinque febbraio la donna, un’insegnante 34enne, ha chiamato la polizia per denunciare una violenza sessuale avvenuta in una strada del centro parigino, e in seguito la polizia aveva quindi arrestato e interrogato un sospetto.

Qualche ora dopo, dalla stazione di polizia è arrivata una chiamata al telefono dell’insegnante, sul quale si era però attivata la segreteria. Il poliziotto ha lasciato un messaggio, chiedendo alla donna ulteriori chiarimenti riguardo il caso. Ma a quanto pare l’uomo non ha attaccato bene la cornetta, perché la segreteria automatica ha registrato per oltre 3 minuti mentre rideva e scherzava con i colleghi.

L’agente, di cui non è stata resa nota l’identità, suggeriva ad alta voce in ufficio che la donna non gli aveva risposto perché addormentatasi in seguito ad una sbronza, e ha messo in discussione la ricostruzione del caso. Ma non basta: 'ha chiamata ripetutamente “Grosse pute”, una “grande putt**a” che stava cercando di rendere la vita difficile a qualche uomo innocente.

Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno, ha concordato sulla necessità di sospendere l’agente, sottolineando come le sue azioni abbiano infangato l’intero corpo, mentre il dipartimento di polizia della capitale ha richiesto un’indagine indipendente. “Non sarà tollerato alcun comportamento offensivo o abusivo da parte di un’agente di polizia nei confronti di una vittima”, si legge in un comunicato.

Ma per il gruppo femminista Osez le feminisme, il problema è più ampio e riguarda l’intero ambiente di lavoro in cui operava l’agente: “Com’è possibile che un agente di polizia senta di avere il diritto di parlare in quel modo di una vittima di fronte ai suoi colleghi?”, si è chiesto il collettivo. “Che atmosfera di lavoro potrebbe permettergli di pensare che può comportarsi così con un’impunità totale?”, e “quante altre volte una donna è stata chiamata “putt**a” dall’agente di polizia incaricato del suo caso senza che questo fosse registrato?”, ha rincarato, chiedendosi poi “come si può sperare nel trattamento imparziale di una denuncia quanto ti senti chiamare ‘putt**a’ dalla polizia?”.

I gruppi femministi e di tutela dei diritti insistono da tempo sulla necessità di combattere la cultura del “victim blaming”, cioè dell’addossare alla vittima la responsabilità per i gesti dell’aggressore. Per screditare le vittime di violenze e delegittimare le loro ricostruzioni ci si concentra solitamente sull’abbigliamento provocatorio o sull’ambiguità del consenso all’atto sessuale.

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