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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il caso / Myanmar

“Ha infranto le regole Covid”: premio Nobel per la pace condannata a 4 anni di prigione

Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione democratica birmana, rischia il carcere a vita. Tra le accuse, anche quella di aver importato dei walkie-talkie

La leader democratica del Myanmar, Aung San Suu Kyi, è stata condannata a 4 anni di reclusione da un tribunale militare. È l’ultima sentenza in una serie di casi giudiziari che, se dovessero trovarla colpevole di tutte le imputazioni, potrebbero portare alla detenzione a vita della 76enne birmana.

L’ultima sentenza, del 10 gennaio, l’ha dichiarata colpevole di vari reati, tra cui la violazione delle misure anti-Covid in vigore nel Paese e l’importazione ed il possesso illegale di walkie-talkie. Ma, come riporta il Guardian, trapelano solo informazioni scarse dalle aule giudiziarie, poiché queste non sono accessibili ai giornalisti o ad altri osservatori. All’avvocato di Aung San Suu Kyi è stato impedito di parlare con i media.

Già lo scorso dicembre, la leader birmana era stata giudicata colpevole di istigazione e di altre violazioni delle norme contro il coronavirus. La condanna, inizialmente di quattro anni di carcere, è stata ridotta a due anni, e Min Aung Hlaing, capo della giunta militare al potere in Myanmar, avrebbe aperto alla possibilità degli arresti domiciliari a Naypyidaw, la capitale del Paese. Non è chiaro dove sia detenuta per il momento Aung San Suu Kyi.

A seguito della sentenza di dicembre, la popolazione è scesa nuovamente in piazza a protestare, battendo pentole e padelle all’indirizzo dei militari, un gesto tradizionalmente connesso all’allontanamento degli spiriti maligni. Il verdetto è stato condannato anche dalla comunità internazionale, con Stati Uniti, Onu e Ue in testa.

Dal canto suo, il vice direttore della sezione asiatica dell’ong Human Rights Watch, Phil Robertson, ha descritto la vicenda come un “circo giudiziario di procedimenti segreti (basati su) accuse fasulle”, architettato ad arte per eliminare la leader democratica. “Ancora una volta – ha aggiunto – Aung San Suu Kyi è diventata simbolo di ciò che sta accadendo al suo Paese ed è tornata al ruolo di ostaggio politico dei militari, decisi a controllare il potere usando l’intimidazione e la violenza”.

“Fortunatamente per lei e per il futuro del Paese, il movimento popolare del Myanmar è cresciuto ben oltre la leadership di una donna e di un partito politico”, ha concluso. Il riferimento è alla Lega Nazionale per la Democrazia (Lnd), il partito di Aung San Suu Kyi, che ha guidato per anni la resistenza popolare alla dittatura militare.

Il potere in Myanmar è stato nelle mani dell’esercito dalla fine degli anni Cinquanta fino al 2015, anno delle prime elezioni libere in cui ha trionfato l’Lnd. Alle elezioni del novembre 2020 l’Lnd ha vinto di nuovo, ma il primo febbraio 2021 c’è stato un nuovo colpo di Stato che ha restituito il potere alla giunta guidata da Min Aung Hlaing. Questo ha provocato proteste di massa in tutto il paese, represse con violenza da parte dei militari. Secondo l’Associazione di assistenza ai prigionieri politici, da febbraio 1.447 persone sono state uccise e 11.421 arrestate.

Quanto ad Aung San Suu Kyi, è una figura di spicco della politica birmana almeno dalla fine degli anni Ottanta. La politica 76enne ha già scontato quindici anni ai domiciliari da quando fu arrestata per la prima volta nel 1989, ed era stata liberata definitivamente nel 2010. Nel 1990 è stata insignita del premio Sakharov per la libertà di pensiero (sospeso però nel 2020 per le controversie circa il genocidio dei Rohingya) e nel 1991 ha vinto il Nobel per la pace.

Dal 1 febbraio 2021 è di nuovo detenuta dai militari, con accuse definite “assurde” dal suo avvocato. Tra queste, quelle di frode elettorale, corruzione e violazione dell’Official secrets act. Se dovesse venire giudicata colpevole per tutti i capi d’imputazione, la leader birmana potrebbe venire reclusa per il resto della sua vita.

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