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Domenica, 28 Aprile 2024
Vestiti insostenibili

Il lato oscuro del cotone: come i big della moda alimentano sfruttamento e inquinamento

La classifica della sostenibilità dei marchi del fashion: solo nove si riforniscono da fonti certificate. Nonostante i fatturati, la maggior parte "non è trasparente, non è sostenibile e mostra scarsi progressi verso il miglioramento delle condizioni di lavoro"

Il cotone scelto dai grandi marchi non risponde ai requisiti minimi di sostenibilità: scarsa cura dell'ambiente e salari troppo bassi. È quanto emerge dalla Classifica del cotone 2023, appena pubblicata dalle organizzazioni non governative Solidaridad Europe e Pesticide action network della Gran Bretagna (Pan Uk). Secondo il report, la stragrande maggioranza dei marchi internazionali (89%) "non è trasparente, non è sostenibile e mostra scarsi progressi verso il miglioramento delle condizioni di lavoro", si legge nella nota diffusa dalle due ong.

Standard minimi

La gamma di possibili misure a disposizione delle aziende sarebbe molto ampia, ciò nonostante le società continuano a non affrontare e men che meno invertire gli impatti ambientali e sociali più gravi connessi alla produzione di cotone su cui basano le loro linee di abbagliamento. Inseme alla classifica, i due enti hanno pubblicato il documento "Cotone e responsabilità aziendale", da cui risulta che il cotone non sostenibile è una vera e propria "scelta" delle aziende mirata ad acquistare a basso costo la materia prima. Lo studio evidenzia che non è possibile verificare che la fonte del cotone rispetti gli standard minimi. Al momento della pubblicazione, a rifornirsi da fonti certificate sono solo 9 delle 82 maggiori aziende di approvvigionamento di cotone. Si tratta di Decathlon, H&M, Ikea, Adidas, Columbia, Marks & Spencer, C&A, Lojas Renner e Puma. Le altre aziende non riescono a raggiungere neppure questo obiettivo "minimo". Addirittura 30 aziende hanno ottenuto un punteggio pari a zero nella classifica: tra queste Calzedonia e Giorgio Armani

Campo di cotone / La Presse

Niente scuse

Molti marchi citano le complesse realtà commerciali come ostacolo al progresso, ma questa sarebbe una bugia dalle gambe corte. Il primo dossier dedicato alla responsabilità aziendale forniva già chiare raccomandazioni: progettare investimenti affinché i piccoli agricoltori possano adattarsi ai cambiamenti climatici. In secondo luogo aggiornare le pratiche di acquisto per garantire una remunerazione migliore dei produttori di cotone. Infine puntare alla trasparenza nella catena di approvvigionamento del cotone. "In realtà, date le risorse a disposizione dei grandi marchi, il cotone non sostenibile è una scelta. Una scelta sbagliata. Ma non deve essere una scelta con cui convivere", ha affermato Tamar Hoek di Solidaridad Europe. Secondo il responsabile, marchi e rivenditori possono adottare nuove decisioni, affrontando la complessa questione della giusta retribuzione, anziché usarla come scusa. "Possono scegliere di impegnarsi con tutti gli attori della loro catena di fornitura, invece di nascondersi dietro gli intermediari", ha commentato.

Catena spezzata

La maggior parte dei produttori mondiali di cotone è rappresentata da piccoli produttori, che vivono ai limiti della povertà senza ricevere un reddito o un salario equo. Ad aggravare la situazione si sovrappone anche il mancato accesso alla formazione e l'assenza di sostegni per adattarsi ai cambiamenti climatici. Il rischio è che i raccolti finiscano distrutti o comunque ridotti. Questo significa sia maggiore povertà per i produttori, come pure danni per le grandi aziende, che verranno privati di una produzione affidabile e duratura.

Fonte: Solidaridad Network

In questo quadro già difficile si aggiungono i danni dell'agrochimica, su cui spesso scommettono i piccoli produttori per aumentare i raccolti nel tentativo di rimanere al di sopra della soglia di povertà. "Quasi la metà dei piccoli coltivatori di cotone viene avvelenata dai pesticidi ogni anno. L'azzeramento dell'avvelenamento da pesticidi è possibile oggi se le aziende del settore tessile e dell'abbigliamento scelgono di assumersi la responsabilità delle loro catene di fornitura e di intensificare gli investimenti per sostenere la transizione verso una produzione di cotone agro-ecologica", ha affermato Rajan Bhopal di Pan Uk.

La scelta degli eurodeputati

Il dossier è stato stilato da una serie di esperti che lavorano nel settore del cotone sotto l'ombrello denominato "Cotton Hub", che esplora i molteplici fattori economici, lavorativi e ambientali che contribuiscono questo settore. Nel concreto, la piattaforma fornirà raccomandazioni su come le aziende o i governi possono affrontare determinate criticità. I primi risultati di questo lavoro si sono visti il primo giugno quando il Parlamento europeo ha adottato la posizione sulla direttiva sulla "due diligence" (dovuta diligenza) sulla sostenibilità delle imprese. Il documento apporta miglioramenti significativi alla proposta originale della Commissione europea, richiedendo alle aziende di valutare gli impatti negativi potenziali o effettivi che le loro pratiche di acquisto e modelli di business possono avere sui diritti umani e sull'ambiente. Proprio gli agricoltori pagano alla fine il prezzo più alto delle pratiche commerciali sleali, ha sottolineato May Hylander, che segue il progetto per l'ufficio advocacy di Fair Trade.

Multe e gogna per le imprese che violano diritti umani e ambiente

Reddito dignitoso

Il documento riconosce anche il diritto a un reddito dignitoso, accanto al diritto a un salario dignitoso. Un terzo del cibo, ad esempio, che consumiamo è prodotto da piccoli agricoltori, cioè degli attori economici indipendenti che guadagnano un reddito anziché ricevere uno stipendio. "Elevare il riconoscimento del diritto a un reddito di sussistenza all'interno della proposta può spingere le aziende a esaminare da vicino le loro pratiche di acquisto, contribuendo in modo significativo a far uscire i piccoli agricoltori dalla povertà", ha affermato Catarina Vieira, consulente per le politiche dell'Ue per Solidaridad. Altro punto importante è quello di relegare la pratica del "disimpegno" da parte dei grandi marchi solo come extrema ratio da adottare in caso in cui i produttori non rispettino norme ambientali.

"In linea con le norme internazionali, un'azienda dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per porre fine o mitigare l'impatto negativo e disimpegnarsi solo come ultima risorsa se non ha la leva per farlo", ha sottolineato Fanny Gauttier, responsabile degli affari pubblici dell'Ue presso la foresta pluviale. Restano dei limiti affinché la normativa rispecchi le linee guida dell'Osce e delle Nazioni Unite. La posizione del Parlamento non inverte l'onere della prova, fondamentale per garantire l'accesso alla giustizia per le vittime. Inoltre, elimina l'articolo che delinea il dovere degli amministratori nell'istituire e supervisionare il processo di dovuta diligenza di una società. Adesso la palla passa ai negoziati del trilogo, che coinvolge anche l'esecutivo europeo e il Consiglio degli Stati membri.

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