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Venerdì, 26 Aprile 2024
Lavoro

Un anno fa la Brexit: come se la sta cavando il Regno Unito

Dal punto di vista economico le cose stanno andando peggio per il paese. Le mani libere hanno però permesso di ottenere diversi vantaggi

Esattamente un anno fa il Regno Unito iniziava la sua vita indipendente dell'Unione europea. Sembra un ricordo lontano ma alla vigilia di Natale dell'anno scorso veniva raggiunto l'accordo sulla Brexit tra Bruxelles e Londra, evitando così il caos di un No Deal. Ma a 12 mesi dal divorzio come stanno andando le cose? I critici della scelta dell'addio all'Ue avevano previsto che i porti sarebbero precipitati nel caos, che i camion avrebbero trasformato il Kent in un gigantesco parcheggio, che i supermercati sarebbero rimasti senza cibo, le fabbriche senza componenti e che il turismo sarebbe andato a pezzi. Se non per periodi relativamente brevi nessuno di questi eventi catastrofici si è avverato.

Ma nemmeno il Regno Unito è diventato la terra promessa e il gigante economico che Boris Johnson e i leavers avevano promesso agli elettori. Dal punto di vista economico, almeno al momento, il bilancio si può dire piuttosto negativo, ma bisogna considerare che la pandemia di coronavirus non ha certo semplificato le cose per i britannici, anzi per loro non poteva arrivare in momento peggiore. Come misurare i risultati della Brexit? Come sottolinea il Financial Times una delle misure più semplici per valutare la Brexit è esaminare la performance complessiva del Regno Unito dal referendum del giugno 2016 fino ad oggi. Da allora la crescita del Paese è rimasta indietro rispetto sia agli Stati Uniti che alla zona euro. Il prodotto interno lordo dell'isola è stato del 3,9 per cento in più nel terzo trimestre del 2021 rispetto al secondo trimestre del 2016. Ma nello stesso periodo, tuttavia, l'Eurozona ha prodotto una crescita del 6,2 per cento e gli Stati Uniti del 10,6 per cento.

Meno commercio con l'Ue

Dall'addio, nonostante l'accordo commerciale, il Regno Unito vende e acquista molto meno dal resto d'Europa, che prima era il suo principale mercato, e alcune industrie ne hanno risentito significativamente ammette il Telegraph, giornale da sempre pro Brexit. L'Ufficio per le statistiche nazionali ha stimato a luglio che rispetto a una base di riferimento del 2018 le esportazioni mensili verso l'Ue erano di 1,7 miliardi di sterline al mese al di sotto del livello sarebbe stato senza addio, e le importazioni erano inferiori di 3 miliardi di sterline. Sono cifre importanti, che neanche i più forti sostenitori dell'addio possono negare. Ma allo stesso tempo la City, per quanto riguarda finanza e altri servizi, per la prima volta vende più negli Stati Uniti che nell'Ue. Nei servizi legali, dove il Regno Unito è secondo solo agli Usa a livello globale, ha registrato un surplus di 5,6 miliardi di sterline negli ultimi anno.

Mancanza di manodopera

Tra Covid e nuove e più stringenti regole sull'immigrazione, il problema principale è stato quello della mancanza di manodopera non specializzata, quella che il Paese voleva tenere fuori, che però ha causato non pochi problemi soprattutto di approvvigionamento, vista la mancanza di autisti che ha portato problemi alle pompe di benzina e ai supermercati, con le immagini delle stazioni di servizio a secco che hanno fatto il giro del mondo. Al momento Londra sta provando a sopperire con visti di lavoro temporanei per queste categorie, mentre per quanto riguarda invece l'immigrazione di lavoratori altamente specializzati le cose sembrano andare meglio. Jonathan Portes, professore al King's College di Londra, ha sostenuto che "i visti per lavoro qualificato sono sostanzialmente in aumento rispetto al periodo pre-pandemia e, in particolare, i visti per la salute e l'assistenza hanno visto un enorme aumento", e che dalla Brexit "c'è stato un rapido riorientamento per il servizio sanitario nazionale dai lavoratori dell'Ue a quelli non Ue".

Accordi di libero scambio

Uno dei punti su cui Johnson ha insistito nella campagna per il Leave è stato la possibilità per Londra di stringere accordi commerciali indipendentemente da Bruxelles. Tra i più importanti nell'ultimo anno il Paese ha concluso un accordo commerciale con l'Australia, ne ha raggiunto uno di principio con la Nuova Zelanda e ha avviato i negoziati per aderire all'Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (Cptpp) che collega le economie dell'Asia, del Pacifico e delle Americhe. L'anno prossimo dovrebbero iniziare i colloqui su accordi su misura con Canada, Messico e India. Finora in tutto ha firmato accordi commerciali e accordi di principio con 69 Stati, ma la maggior parte sono accordi "rollover", cioè copiano i termini degli accordi che il Regno Unito aveva già quando era membro dell'Unione, piuttosto che creare nuovi vantaggi. E come fa notare il Times l'impatto economico di questi accordi è stato meno impressionante della retorica che li ha accompagnato. Ad esempio le stime più ottimistiche suggeriscono che l'accordo con l'Australia aumenterà il Pil di circa 2,3 miliardi di sterline o dello 0,08 per cento entro il 2035, mentre l'accordo con la Nuova Zelanda farà crescere l'economia del Regno Unito solo dello 0,01 per cento. Spiccioli per un Paese come la Gran Bretagna.

Il vantaggio delle mani libere

Ma un bel colpo Johnson lo ha assestato con l'Aukus, il Patto strategico anti-Cina con Usa e Australia, che ha permesso al Paese di strappare alla Francia un accordo da circa 60 miliardi (insieme agli Stati Uniti) per la costruzione di sottomarini nucleari, accordo che Parigi aveva siglato con Canberra e che quest'ultima ha poi stracciato. Con Londra ancora nel club dei Ventotto uno smacco del genere a un alleato non sarebbe stato possibile. I generale le mani libere sono servite a Johnson in diverse occasioni, non ultima la pandemia di coronavirus, con Londra che è riuscita a stringere accordi con le case farmaceutiche come Pfizer e AstraZeneca che gli hanno permesso di ottenere molti più vaccini e molto più in fretta rispetto all'Europa.

Più ombre che luci al momento

Insomma il bilancio è di luci e ombre (più ombre che luci) e non dimentichiamo che ci sono ancora varie questione irrisolte, come l'annoso problema dell'Irlanda del Nord, con il patto stipulato che sta creando non pochi problemi a causa del ritorno dei controlli sulle merci sulle coste irlandesi, e le frizioni sui diritti di pesca con la Francia che non sembrano attenuarsi, ma solo il tempo dirà se davvero la scommessa britannica è stata azzardata e sarà pagata cara, o porterà la ricchezza promessa. O magari, tutto sommato, non cambierà davvero le cose più di tanto né in uno, né nell'altro senso.

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