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Sabato, 27 Aprile 2024
Lavoro

Perché Orban non è "dalla parte dell'Italia"

La posizione dell'Ungheria e degli altri Paesi di Visegrad nei difficili negoziati per il Recovery fund non coincide con quella di Roma e Madrid, e anzi ha allungato i tempi per giungere a un accordo. Unico elemento comune è l'opposizione all'Olanda

Nella serata di domenica 19 luglio, nel giorno forse più drammatico dei negoziati al vertice Ue intorno al Recovery fund, il piano anticrisi dell'Europa per il post-pandemia, il premier Viktor Orban ha deciso di comunicare ai media la sua vicinanza all'Italia. Un messaggio che, come facile da prevedere, è diventato subito oggetto di dibattito nel nostro Paese, con i sovranisti a elogiare la 'amicizia" del leader ungherese e i partiti di governo in evidente imbarazzo, dato che tra i 'frugali', ossia i nuovi 'nemici' dell'Italia, figurano per lo più esponenti socialdemocratici e verdi. "Gli olandesi vorrebbero creare un meccanismo che dia un'influenza all'Olanda su come vengono spesi i soldi nel Sud. Di base è una lite tra gli olandesi e gli italiani. Per quanto riguarda gli ungheresi, stiamo saldamente dalla parte degli italiani", ha fatto sapere Orban.

"Il problema dell’Europa e dell’Italia non sono i tanto demonizzati governi sovranisti di Ungheria e Polonia. Anzi, non si disdegna il loro sostegno quando ci si trova di fronte al muro di egoismo dei nordici guidati da governi liberali, popolari o socialisti", ha detto a stretto giro Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d'Italia al Parlamento europeo. E sulla stessa linea sono stati gli interventi dei leghisti, a partire dal loro leader Matteo Salvini. Ma le cose stanno realmente così?

Chi ha seguito le trattative sul Recovery fund fin dall'inizio, sa bene che i Paesi di Visegrad guidati per l'appunto da Polonia e Ungheria hanno avuto un solo punto d'unione con l'Italia in questi negoziati: l'opposizione all'Olanda. Per il resto, le loro posizioni hanno di fatto rallentato i negoziati e reso più difficile il raggiungimento di un'intesa favorevole ai Paesi del Sud, ossia quella più vicina possibile alla proposta della Commissione europea.

Orban e soci, infatti, si sono da subito opposti al piano di Bruxelles, non tanto per la dimensione degli aiuti (750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto), quanto per il criterio di ripartizione di questi aiuti, diverso da quello adottato per il normale bilancio europeo: Polonia e Ungheria sono tra i maggiori beneficiari netti del bilancio Ue (ossia ottengono più risorse di quelle che inviano all'Ue), mentre l'Italia è un contributore netto (spende per il bilancio Ue più di quello che riceve). Con il Recovery fund, la Commissione europea ha deciso di privilegiare l'Italia, assegnando la gran parte delle risorse con un meccanismo di calcolo che è andato a scapito proprio di Polonia e Ungheria (le cui economie sono state tra le meno toccate in Europa dal coronavirus).

Sembrava un principio giusto a tutti quello di privilegiare la solidarietà verso i Paesi Ue più colpiti dalla pandemia, persino all'Olanda (che non mette in discussione il piano in sé, ma come tutti i frugali ha spinto perché le sovvenzioni a fondo perduto fossero sostituite in tutto o in buona parte da prestiti). Ma Polonia e Ungheria si sono opposte. Il nuovo sistema di ripartizione del denaro “è assurdo e perverso perché porta più fondi ai paesi più ricchi. Qualcosa non va. Non è una buona idea che i Paesi più poveri finanziano quelli più ricchi", ha dichiarato Orban. Che per essere più chiaro ha aggiunto: la proposta di Bruxelles significherebbe che "tu come cittadino ungherese devi assumerti la responsabilità del rimborso del debito greco, italiano o francese e, se non ci riescono, ci rimetti tu".

Dietro l'opposizione iniziale dei Visegrad si nascondeva però un tema forse più spinoso: il legame tra fondi Ue e rispetto dello stato di diritto. In sostanza, la Commissione ha chiesto di inserire un meccanismo legale per bloccare l'erogazione dei fondi per chi ha procedure aperte per violazione delle norme europee sullo stato di diritto (Polonia e Ungheria per l'appunto). In questo modo, Bruxelles avrebbe un'arma di ricatto nei confronti di Varsavia e Budapest per chiedere loro di rispettare i principi della libertà di stampa e dell'indipendenza della magistratura, per esempio.

Tra i fautori di questo meccanismo c'erano diverse forze politiche, dai liberali come l'olandese Rutte e il francese Macron, ai governi di centrosinistra (Spagna e Italia compresi). A dirla tutta, il meccanismo ricorda quello che per esempio Lega e FdI vorrebbero l'Ue applicasse nei confronti della Turchia. Il fronte pero' si è spaccato strada facendo e di fatto l'Italia si è schierata con Polonia e Ungheria per portare i Visegrad al proprio fianco nelle trattative con i frugali. A favore di un meccanismo forte sullo stato di diritto è rimasta solo Olanda.

Una mossa sottolineata con sarcasmo da Fidanza: "Persino il tanto sbandierato 'stato di diritto', che secondo la sinistra verrebbe costantemente violato da questi pericolosi autocrati, conta un po’ meno se in ballo ci sono miliardi per l’Italia e la sopravvivenza stessa del governo Conte". Orban, da navigato frequentatore dei tavoli negoziali europei, sapeva bene di poter sfruttare il braccio di ferro tra Olanda e Italia per ergersi a paladino della solidarietà verso i Paesi del Sud. Una solidarietà di cui Ungheria e Polonia, a prescindere dalle formule temporanee anticrisi, restano tra i massimi beneficiari. Tanto più senza rischi di stop ai fondi per le loro leggi sullo stato di diritto.

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