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Sabato, 27 Aprile 2024
Lavoro

Code di 7mila tir e crisi peggiore del Covid: Londra adesso teme la Brexit senza accordo

Secondo i ricercatori della London School of Economics il prezzo da pagare per un eventuale "no deal" sarebbe una contrazione dell'8 per cento del Pil. I controlli alla frontiera potrebbero comportare poi ritardi di due giorni nella consegna delle merci

Mentre il governo di Boris Johnson prova con difficoltà a ridurre i contagi in crescita nel Paese e ad attutire le conseguenze economiche della pandemia, c'è una crisi alle porte che potrebbe dare un colpo al Parse molto più duro: il rischio del No Deal nei negoziati sulla Brexit. Un'uscita dall'Unione europea senza accordo potrebbe avere conseguenze catastrofiche sul Paese, ben più gravi del coronavirus, a cui si aggiungerebbe un pesante rallentamento del commercio di merci a causa dei controlli alle frontiere, con la prospettiva di trovarsi file di settemila camion in attesa di imbarcarsi nel porto di Dover.

Uno studio commissionato dal think tank anti-brexiteer UK in a Changing Europe e realizzato in collaborazione con alcuni ricercatori della London School of Economics (Lse), afferma che il prezzo da pagare per un eventuale No Deal sarebbe destinato a raggiungere a lungo termine un meno 8% del Pil nel Regno, pari a 160 miliardi di sterline o a 2.400 sterline pro capite. Cifre anche più alte delle previsioni della Bank of England relative all'impatto sul Paese del lockdown di primavera e delle altre restrizioni legate alla pandemia di Covid-19 che si fermano a un meno 1,7% del Pil nel 2022, dopo un presumibile rimbalzo positivo parziale.

L'analisi è stata diffusa mentre riprendono nella capitale britannica i colloqui sulle relazioni future commerciali post Brexit fra i team guidati dai capi negoziatori Michel Barnier e lord David Frost: colloqui in stallo da tempo su diversi punti cruciali e minacciati ora anche dalla reazione furiosa dell'Ue al progetto di legge delineato dal governo di Boris Johnson che rivendica al Regno Unito un preteso diritto a rimettere in discussione parte delle intese di divorzio già raggiunte nell'Accordo di Recesso, in particolare sul delicato status doganale dell'Irlanda del Nord.

Come se non bastasse proprio ieri il Guardian ha rivelato che nelle previsioni del governo ci potrebbero essere a gennaio settemila tir bloccati a Dover in attesa di entrare in Francia, con ritardi di due giorni nel regolare transito delle merci provenienti dal Regno Unito e dirette verso il territorio dell'Unione europea, causate dai controlli che torneranno a essere necessari. Lo scenario catastrofico, confermato poi ai Comuni dallo stesso sottosegretario del governo, Michael Gove, responsabile dei preparativi per l'uscita, potrebbe realizzarsi a prescindere dall'esito delle trattative in corso per il nuovo accordo commerciale tra Londra e Bruxelles. Secondo le previsioni di Gove, i principali disagi deriverebbero dalla impreparazione degli esportatori britannici di fronte ai controlli che entreranno in vigore dal primo gennaio alle frontiere con la Ue.

Downing Street prevede che tra il 40 e il 70 per cento dei tir che viaggeranno verso la Ue non saranno pronti per superare i nuovi controlli alle frontiere. Nel caso dei camion che dovranno attraversare la Manica imbarcandosi sui traghetti a Dover o percorrendo in treno l'Eurotunnel, le stime variano dal 30 al 50 per cento. Inoltre, l'imbuto che si creerebbe nei porti francesi, potrebbe far crollare il flusso delle merci attraverso la Manica fino all'80 per cento delle normali capacità. Per questo Gove ha chiesto alle associazioni di categoria di "agire ora e prepararsi per le nuove formalità" burocratiche che dovranno affrontare a partire dal prossimo anno. I conducenti, britannici o stranieri, che viaggiano, ad esempio da depositi nelle Midlands, dovranno ottenere un permesso prima di arrivare nel Kent, la regione del porto di Dover, se intendono salire a bordo di un traghetto o di un treno Eurotunnel.

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