Berlino potrebbe espropriare 243mila case private contro il caro affitti
Vittoria per il referendum contro le lobby immobiliari nella Capitale tedesca. Dove l'80% cittadini non ha una casa di proprietà
Più che una espropriazione, si tratterebbe di una resitituzione. Perché, secondo molti analisti, alla base della crisi abitativa che da anni affligge i 3,6 milioni di abitanti di Berlino, ci sarebbe la vendita (o svendita, per i più critici) di migliaia di appartamenti pubblici finiti in mano private all'inizio del 2000. Quale che siano le cause, c'è di fatto che nella Capitale tedesca il caro affitti è sempre più preoccupante. E che la maggioranza dei cittadini è stanca, tanto di avere votato a favore del referendum che chiede di "recuperare" dalle società immobiliari circa 243mila appartamenti. Per fermare la corsa al rialzo dei prezzi e le speculazioni.
La proposta
Lo spoglio è ancora in corso, visto che il referendum è stato calendarizzato nell'Election day della Capitale, quello di domenica 26 settembre, quando i berlinesi hanno votato anche per il rinnovo del Parlamento nazionale, di quello regionale e dei consigli municipali. Le proiezioni danno in netto vantaggio i favorevoli all'espropriazione (intorno al 57% in metà dei seggi), tanto che i promotori del referendum "Deutsche Wohnen & Co. enteignen" hanno già cantato vittoria. E a ragione.
Il forte appoggio popolare all'iniziativa, infatti, è palese. E costringerà le autorità locali, se non a provvedere a una espropriazione vera e proprio, a cercare almeno di trovare una risposta alla crisi abitativa. "I berlinesi ne hanno abbastanza di speculazioni e affitti folli", dicono i promotori del referendum. La proposta dell'iniziativa "Deutsche Wohnen & Co. enteignen" è di una legge che consentirebbe l'esproprio alle società immobiliari che posseggono più di 3.000 unità abitative: le case sopra questa soglia, verrebbero riacquistate dalle autorià berlinesi a un prezzo "ben al di sotto del valore di mercato", si legge sul sito della campagna.
I dubbi costituzionali
Secondo diverse stime, l'espropriazione proposta dal referendum riguarderebbe circa 243mila appartamenti. Il costo di una eventuale compensazione si aggirerebbe, secondo gli analisti immobiliari, tra i 28 e i 36 miliardi di euro. I referendari sostengono che la spesa sarebbe nettamente inferiore (tra i 7,3 e 13,7 miliardi), e verrebbe ammortizzata nel tempo grazie agli affitti "equi" che l'amministrazione proporrebbe.
Sempre secondo i promotori del referendum, tale misura sarebbe in linea con l'articolo 15 della Legge fondamentale tedesca, che recita: "La terra, le risorse naturali e i mezzi di produzione possono, ai fini della nazionalizzazione, essere trasferiti alla proprietà pubblica o ad altre forme di impresa pubblica da una legge che determina la natura e l'entità dell'indennizzo". A loro avviso, non vi sarebbero violazioni del diritto alla proprietà privata e al principio di uguaglianza, cosa messa in dubbio invece da altri costituzionalisti.
La palla al nuovo governo
A ogni modo, a dirimere le questioni giuridiche (e du budget) spetta adesso alle autorità. Il referendum non è vincolante, ma la nuova amministrazione dovrà comunque produrre una proposta in linea con la legge. La coalizione progressista che ha finora guidato Berlino (e che dovrebbe continuare a farlo) aveva provato nel recente passato a introdurre un tetto per fermare l'aumento dei prezzi in una città dove ben l'80% dei cittadini vive in affitto, ma la Corte Suprema aveva bloccato la misura considerandola contraria alla Costituzione (non per la misura in sé, quanto perché la questione dei prezzi è materia federale).
Il sostegno del voto popolare dà nuova linfa ai partiti più favorevoli all'esproprio, ossia sinistra e verdi. E i colossi dell'immobiliare sembrano cominciare a preoccuparsi. La società Akelius, accusata negli ultimi anni di avere contribuito ad aumentare i prezzi degli affitti a Berlino, ha annunciato proprio nel giorno del referendum la vendita di 14.050 appartamenti al gruppo svedese Heimstaden Bostad AB.