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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il caso

La mega discarica dove finiscono i vestiti dell'Europa: "Un disastro ambientale"

Ogni settimana, alla periferia di Accra, in Ghana, arrivano dai Paesi Ue oltre 15 milioni di indumenti usati o invenduti, ma solo un terzo viene riciclato. I commercianti africani chiedono più soldi all'Ue: "Pagati 0,06 euro per articolo"

Da tempo la "fast fashion" rappresenta una fetta importante del mercato della moda. Per i consumatori europei è un modo per poter riempire i propri armadi con vestiti a basso costo, e spesso i marchi del settore vantano la presunta impronta ecologica dei loro prodotti fatti di tessuti riciclati. Ma quello che un gruppo di commercianti africani ha raccontato nel corso di una missione a Bruxelles delinea un'altra realtà: dietro gli abiti che gli europei gettano nei cassonetti o che restano invenduti nei magazzini dei negozi, si cela una filiera che lucra sull'ultimo anello della catena, contribuendo a creare un vero e proprio disastro ambientale. 

La catastrofe ambientale

È quanto denunciano i commercianti di Kantamanto, uno dei mercati di abbigliamento di seconda mano più grandi del mondo, dove lavorano circa 30mila persone, spesso in condizioni di sicurezza precarie (come ha dimostrato un vasto incendio scoppiato nel 2020). Si trova alla periferia di Accra, capitale del Ghana. Qui ogni settimana arrivano circa 15 milioni di indumenti, la maggior parte dei quali sono "scorte morte" (vestiti conservati nei magazzini per anni e mai venduti), ma anche articoli donati a enti di beneficenza o lasciati nei cassonetti per il riciclaggio. Di questi, solo un terzo, circa 6 milioni di vestiti di migliore qualità vengono rivenduti o riciclati. Il resto va smaltito.

Si tratta di una montagna enorme di tessuti, che le autorità locali non riescano a smaltire in modo corretto. Tra il 2010 e il 2020, almeno dieci discariche legali hanno dovuto chiudere i battenti per aver raggiunto il limite di capienza. Attualmente, la discarica di Adepa, 50 km a nord di Kantamanto, riesce a gestire solo il 30% del totale dei rifiuti di abbigliamento che arrivano sul mercato locale. Il restante 70% "finisce in fossati e scarichi, rilasciando coloranti in mare e fiumi, e coprendo le spiagge con vasti grovigli di vestiti", scrive il Guardian. Una "catastrofe ambientale" per la biodiversità marina e un danno economico per le attività di pesca, denunciano i commercianti giunti a Bruxelles per incontrare le autorità Ue. 

Le proposte del Parlamento europeo

Al centro del loro viaggio, c'è la proposta, al vaglio della Commissione europea, sulla responsabilità estesa del produttore (Erp). La proposta dovrebbe introdurre delle misure per garantire che le imprese europee del settore tessile paghino il giusto prezzo per i rifiuti che creano nelle loro catene di approvvigionamento al fuori del blocco. Attualmente, sempre secondo il Guardian, i commercianti di Kantamanto ricevono dai produttori di abbigliamento circa 0,06 centesimi di euro per ogni articolo che trattano. La loro richiesta è che Bruxelles fissi una soglia minima obbligatoria di 50 centesimi per articolo. Inoltre, chiedono che le imprese Ue contribuiscano a un fondo ambientale che aiuti a bonificare le discariche e a ridurre il danno ambientale.

La proposta della Commissione europea dovrebbe arrivare questo mese. Nel frattempo, il Parlamento europeo ha dato il via libera questa settimana a un pacchetto di proposte legislative che mirano proprio a porre fine agli effetti negativi della "fast fashion". Nelle loro raccomandazioni per la strategia Ue per i prodotti tessili sostenibili e circolari, gli eurodeputati chiedono l'introduzione di misure più severe per combattere la produzione e il consumo eccessivo di prodotti tessili. Tali prodotti, in base alle nuove regole, dovrebbero durare più a lungo ed essere più facili da riutilizzare, riparare e riciclare ed essere fabbricati in modo circolare, sostenibile e socialmente equo.

Due diligence: il governo Meloni contro la proposta del Parlamento

Sempre questa settimana, il Parlamento ha anche approvato un testo sulla cosiddetta "due diligence": le imprese Ue, qualora il provvedimento verrà varato in via definitiva, saranno tenute a identificare e, se necessario, prevenire, porre fine o mitigare, l'impatto negativo che le loro attività hanno su diritti umani e ambiente. Pensa una serie di sanzioni. Il testo dovrà essere adesso negoziati con i governi Ue. Il Ppe, principale partito europeo di centrodestra, ha già espresso dubbi su queste misure, ritenute rischiose per la competitività delle aziende europee. 

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