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Domenica, 28 Aprile 2024
Bastone e carota / Ungheria

Orbán fa litigare le regine d'Europa

Il Parlamento europeo guidato da Roberta Metsola accusa nuovamente il governo di Fidesz di minare la democrazia ungherese, e minaccia azioni legali contro la Commissione von der Leyen

Il premier ungherese Viktor Orbán continua a rimanere nell'occhio del ciclone politico europeo. E anzi porta lo scontro ad acuirsi non solo tra Bruxelles e Budapest, ma ora anche tra le diverse istituzioni Ue. Da un lato l'Europarlamento, che critica l'erosione dello Stato di diritto in Ungheria, dall'altro Consiglio e Commissione, accusati di comprare l'appoggio del leader est-europeo sul dossier ucraino scongelando i fondi europei da tempo bloccati. 

Gli eurodeputati, riuniti in sessione plenaria a Strasburgo, hanno approvato giovedì 18 gennaio una risoluzione non vincolante ma dall'alto valore simbolico in cui denunciano per l'ennesima volta lo smantellamento della democrazia magiara ad opera del primo ministro Orbán (che si autodefinisce orgogliosamente "illiberale") e del suo partito nazional-populista, Fidesz, con il quale governa ininterrottamente il Paese dal 2010. Fin qui, niente di nuovo. 

Ma la vera bomba politica rischia di esplodere nelle mani della Commissione, contro la quale l'assemblea guidata dalla maltese Roberta Metsola (compagna di partito della stessa Ursula von der Leyen) minaccia ora un'azione legale per rovesciare la decisione di sbloccare parte dei fondi europei destinati a Budapest. Gli eurodeputati hanno sottolineato che rientra tra le loro prerogative il potere di deferire alla Corte di giustizia Ue l'esecutivo comunitario se questo viene meno al suo ruolo di "custode dei Trattati", a difesa tanto dei valori quanto degli interessi finanziari dell'Unione. 

Al centro della polemica è quanto accaduto all'ultimo summit dei leader dei Ventisette a metà dicembre: per scongiurare il veto di Orbán (ampiamente annunciato) sull'apertura dei negoziati di adesione dell'Ucraina al blocco, infatti, la Commissione ha acconsentito all'erogazione di una parte dei fondi comunitari che spetterebbero all'Ungheria, ma che sono congelati a causa di una serie di riforme del governo ultraconservatore di Fidesz che secondo Bruxelles violano lo Stato di diritto. Governo ai cui ricatti, secondo l'assemblea, avrebbe ceduto la presidente von der Leyen.

E ce n'è anche per il Consiglio, cui l'Eurocamera rimprovera di non aver mai fatto la sua parte per applicare la cosiddetta procedura dell'articolo 7 del Trattato sull'Ue (uno dei due trattati fondamentali dell'Unione), dopo che il Parlamento l'aveva attivata nel 2018. La procedura prevede che gli Stati membri possano privare uno dei loro pari dei propri diritti di voto al Consiglio, laddove sia accertata una violazione sistematica e persistente dei valori contenuti nell'articolo 2 del medesimo trattato (tra cui, appunto, democrazia e Stato di diritto). 

Il mese scorso, dicevamo, è arrivata la luce verde per far entrare 10,2 miliardi nelle casse di Budapest tra Pnrr, fondi di coesione e altri finanziamenti, proprio mentre il premier magiaro usciva dalla stanza dove si votava sui negoziati con Kiev (che andavano approvati all'unanimità). Questo abbasserebbe, secondo le stime, a quota 20 miliardi i fondi Ue per l'Ungheria ancora congelati.

Ma, per quanto l'Aula di Strasburgo agiti il bastone, parrebbe che la strategia della carota adottata dalla Commissione stia già dando i suoi frutti. Il premier ungherese, che al vertice di dicembre ha fatto naufragare una revisione del bilancio pluriennale dell'Ue che prevedeva l'esborso di altri 50 miliardi in sostegno a Kiev, ha infatti dichiarato che il supporto all'Ucraina può arrivare su base nazionale, modulato annualmente secondo le necessità.

Un'apertura a più miti consigli che potrebbe preludere ad ulteriori tranches di finanziamenti a Budapest? Non è un'ipotesi da escludere. Ora è da vedere se davvero gli eurodeputati porteranno la Commissione alla sbarra della Corte di giustizia in Lussemburgo, o se si è solo il roboante lancio della lunga campagna elettorale che ci accompagnerà da qui fino a giugno. 

Il colmo è che dopo le elezioni, la guida ad interim del Consiglio europeo potrebbe essere assunta proprio da Orbán il prossimo luglio: il seggio verrà lasciato vacante prima del tempo dal belga Charles Michel, che si candiderà come eurodeputato, e stando alle regole attuali dovrà essere occupato dal capo del governo che detiene in quel momento il semestre di presidenza. Cioè quello ungherese.

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