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Domenica, 28 Aprile 2024
L'allerta

L'Europa ha bisogno di nuovi antibiotici, ma a Big Pharma non conviene produrli (per ora)

Le imprese non investono più su questi farmaci e chiedono all'Ue una sorta di "premio" per invertire la tendenza. Sullo sfondo, la resistenza antimicrobica che solo in Italia uccide 10mila persone all'anno

L'ultimo allarme lo ha lanciato l'agenzia europea del farmaco qualche giorno fa: "La carenza di antibiotici è un problema" che "sta colpendo 25 Paesi sui 27" del blocco, "in particolare per quanto riguarda l'amoxicillina", ha detto Steffen Thirstrupp, capo medico dell'Ema. A causare la carenza di scorte, secondo quanto riportato dai produttori, sarebbe stato l'effetto congiunto delle interruzioni nelle catene di approvvigionamento, dei costi energetici maggiori e di un aumento improvviso della domanda. Ma c'è un altro aspetto che, forse, potrebbe essere stato ancora più determinante: produrre antibiotici non è più conveniente per Big Pharma. Un fenomeno che preoccupa ancora di più in prospettiva, se è vero che la resistenza antimicrobica potrebbe causare 10 milioni di morti all'anno entro il 2050 e che secondo diversi esperti servirebbe investire nella ricerca e nello sviluppo di nuovi e innovativi farmaci.

La resistenza antimicrobica e la risposta Ue

Il fenomeno della resistenza agli antibiotici è cominciato a emergere già mezzo secolo fa: batteri e altri microrganismi aggirano sempre più i farmaci e attulamente si stima che le malattie resistenti agli antimicrobici uccidano nel mondo circa 700mila persone ogni anno. Un numero che potrebbe diventare dodici volte più alto da qui alla metà del secolo, secondo un gruppo di esperti delle Nazioni Unite. Nell'Unione europea, un recente studio dell'Ecdc ha messo in rilievo che sui 35mila morti all'anno nell'Ue per tale fenomeno, quasi un terzo (10mila) riguarda l'Italia. Cosa fare? "Le proposte per combattere la resistenza antimicrobica si basano generalmente su due pilastri - scrive Benjamin Placket su Nature - Il primo è quello di estendere la durata effettiva delle scorte esistenti di antimicrobici con la prevenzione delle malattie e misure per combatterne l'uso eccessivo. Il secondo è promuovere lo sviluppo di nuovi farmaci antimicrobici per combattere le infezioni resistenti ai farmaci".

L'Europa sta lavorando in entrambe le direzioni: nel 2017, la Commissione ha lanciato il piano d'azione One Health, che ha innanzitutto l'obiettivo di contrastare l'uso inappropriato degli antibiotici da parte delle persone e di ridurre il ricorso eccessivo a tali farmaci negli allevamenti (fattore considerato tra le principali cause della resistenza nell'uomo). Il secondo obiettivo del piano, invece, è rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi e innovativi antibiotici. E qui arriviamo al nodo di Big Pharma: le politiche europee volte alla riduzione degli abusi di questi medicinali non sono certo uno stimolo agli investimenti privati. Giganti come NovartisAstraZeneca e Sanofi hanno interrotto la ricerca in questo campo a causa delle scarse aspettative commerciali. "Un recente studio - scrive El Pais - ha rivelato che i 18 antibiotici emersi nell'ultimo decennio hanno guadagnato in media appena 15,3 milioni di euro all'anno". Un profitto che contrasta con i circa 1,5 miliardi che, secondo le lobby del settore, servono per portare un nuovo antimicrobico sul mercato.

I Tee e la battaglia a Bruxelles

Una soluzione allo stallo, secondo quanto prevede la nuova strategia in materia lanciata dalla Commissione europea due anni fa, potrebbe venire trovata fornendo un incentivo pubblico alle imprese. Per diversi stakeholder del settore, tra cui Efpia, la Federazione europea dell'industria farmaceutica, tale incentivo ha un nome ben preciso: Transferable exclusivity extension (Tee). Si tratta di una sorta di "premio" che viene concesso alle aziende che immettono sul mercato un nuovo antibiotico: in cambio di questo contributo, le aziende otterrebbero il diritto di estendere di 12 mesi il monopolio nell'Ue su un altro farmaco di loro proprietà (molto probabilmente scelto tra quelli più remunerativi e con un brevetto in scadenza) o di rivendere tale diritto a un'altra azienda. 

Per l'Efpia, questo sistema darebbe alle imprese farmaceutiche la possibilità di ridurre i rischi legati agli investimenti in nuovi antibiotici, compensandoli con i ricavi realizzati su farmaci più "sicuri" per il business, e inoltre ridurrebbe i costi per la sanità pubblica rispetto a quanto costerebbe ai governi Ue finanziare la ricerca. Stimare l'impatto indiretto di un Tee sui bilanci dei Paesi europei non è semplice: come si legge su Lancet, uno studio commissionato dall'industria sostiene che ammonterebbe a 1 miliardo in 12 mesi. Uno studio indipendente, invece, ha calcolato un valore di 3 miliardi. L'Epha, organizzazione europea che riunisce medici ed esperti di salute pubblica, ha duramente contestato i Tee, sostenendo, tra le altre cose, che non garantirebbero un accesso equo ai nuovi antibiotici nell'Ue. 

La Commissione, per il momento, sembra però orientata a inserire tale forma di incenitvo nella proposta che dovrebbe presentare a governi e Parlamento Ue nei prossimi mesi. Alcuni Stati membri, tra cui l'Olanda, hanno già espresso la loro perplessità: "Si tratta di una forma di finanziamento indiretto, non trasparente, che non sempre va a vantaggio di quelle aziende che contribuiscono realmente a portare sul mercato nuovi farmaci", si legge in un documento siglato da Amsterdam e altri 13 Paesi membri.

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