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Domenica, 28 Aprile 2024
Lo stallo / Ucraina

"No all'Ucraina in Ue": Orban sbarra la strada a Kiev mentre Berlino raffredda gli aiuti a Zelensky

Non solo lo stop a nuovi fondi: il premier ungherese annuncia il veto anche sull'adesione. Mentre la Germania vuole ridurre il suo contributo per l'acquisto congiunto di armi. Mentre Kiev si appresta a un duro inverno

Il supporto economico e militare dell'Europa all'Ucraina è in crisi, proprio nel momento in cui il presidente Volodymyr Zelensky chiede un salto di qualità per affrontare il duro inverno alle porte e proseguire nella controffensiva per recuperare i territori occupati dalla Russia. Fra due settimane, i leader dell'Ue si incontreranno a Bruxelles per discutere, tra le altre cose, sul futuro degli aiuti e sul processo di adesione di Kiev. Un dossier caldo, su cui grava innanzitutto l'ostruzionismo del premier ungherese Viktor Orban, che non intende dare il suo via libera tanto allo stanziamento di 50 miliardi di euro di aiuti economici, quanto all'ingresso dell'Ucraina nell'Ue. Ma a pesare sono anche i dubbi della Germania sulle modalità di finanziamento e funzionamento dell'Epf, l'European peace facility, il fondo da cui partono i finanziamenti militari per l'Ucraina.

Orban sempre meno solo

Il problema più urgente è chiaramente lo sblocco dei 50 miliardi di aiuti che il governo ucraino attende da mesi per rimettere in sesto le proprie casse e far fronte alle enormi spese per sostenere la popolazione, in particolare per garantire le forniture energetiche. Orban non intende togliere il suo veto allo stanziamento dei fondi. La sua motivazione è che continuare ad alimentare la macchina da guerra ucraina non farà altro che prolungare il conflitto con la Russia, anziché spingere Kiev a sedersi al tavolo di pace con Mosca e fermare una guerra che, a giudizio del leader ungherese, sta creando gravi problemi all'Europa e si risolverà in un fallimento totale per Bruxelles. A questo veto, Orban ne aggiunge un altro: il no all'ingresso dell'Ucraina nell'Ue. L'adesione "non coincide con gli interessi nazionali dell'Ungheria", ha detto in un'intervista a Kossuth Rádió. A suo avviso, meglio siglare un partenariato strategico con Kiev che "potrebbe durare fino a 5-10 anni, in modo da avvicinare (l'Ucraina all'Europa) visto che il divario ora è troppo ampio". Una posizione che non stupisce.

È risaputo che Orban abbia legami più che stretti con Putin, e che il gas e il petrolio russi rappresentino una fonte fondamentale di energia per le imprese ungheresi. Così come è noto che Orban stia usando il suo potere di veto (in politica estare serve l'unanimità dei Paesi membri) per fare pressioni sulla Commissione europea affinché sblocchi i 13 miliardi di fondi Ue per l'Ungheria trattenuti da Bruxelles come punizione per le violazioni sullo stato di diritto. Ma non c'è solo questo dietro l'ostruzionismo del leader magiaro. Orban sembra stia giocando una partita più ampia per aumentare il suo peso negli equilibri politici del blocco. Sull'Ucraina sa che adesso può contare anche sul premier slovacco Robert Fico, e la vittoria del leader di destra Geert Wilders in Olanda potrebbe dargli un alleato in più al tavolo dei 27. Inoltre, nel continente c'è un crescente sentimento di stanchezza di cittadini e imprese per l'inflazione, che a sua volta viene vista come effetto della guerra in Ucraina. L'adesione di Kiev, secondo Orban, rischia di mandare "in frantumi l'unità europea". Un avvertimento che sembra condiviso, ma per altre ragioni, da Bruxelles."Ci stiamo dirigendo verso una grave crisi", ha detto un funzionario Ue a Politico. Una crisi che potrebbe portare ancora più consensi alle forze politiche europee più vicine a Orban in vista delle elezioni Ue di giugno.

Il futuro degli aiuti militari

Oltre all'assistenza economica a Kiev, il premier ungherese è intenzionato a bloccare gli aiuti militari. In questo, va detto, sta trovando un supporto indiretto da parte di Paesi che sulla carta sono sostenitori senza se e senza ma dell'Ucraina. Tutto ruota intorno all'Epf, il fondo che per Bruxelles dovrebbe diventare la base di una difesa europea congiunta, e non più frammentata tra opposti interessi nazionali. Questo fondo viene alimentato con risorse extra degli Stati membri, ossia non fa parte del bilancio pluriennale che viene stabilito ogni sette anni. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen vorrebbe aumentarne la dotazione. Ma la Germania, che è poi il Paese di cui è stata ministra della Difesa, non sembra dello stesso avviso.

Berlino contribuisce per un quarto alla dotazione dell'Epf, ma i soldi che tornano alle sue imprese sono nettamente inferiori. L'Epf, infatti, finanzia gli acaquisti militari degli Stati membri. Molti di questi comprano per esempio nuovi carri armati, e spediscono quelli vecchi all'Ucraina. In sostanza, stanno usando l'Epf per modernizzare i loro apparati militari. Non che la Germania contesti questo, ma a quanto pare le industrie tedesche della difesa non sono quelle più gettonate da chi usa i fondi Epf. E spesso tali risorse finiscono nelle tasche di Paesi extra Ue (come gli Stati Uniti).

Lo stallo sull'Epf

Ecco perché Berlino vuole adesso ridurre il suo contributo al fondo. Il problema è che se lo facesse, anche altri grandi contributori come Francia e Italia potrebbero seguire la stessa strada. E l'Epf finirebbe per venire svuotato, in barba ai sogni di gloria di von der Leyen, e ai futuri rifornimenti militari per Kiev. Parigi, dal canto suo, chiede che quando si tratta di acquisti congiunti di attrezzature militari, i fondi Ue vadano solo ed esclusivamente alle industrie europee. Una proposta che rischia di replicare le criticità emerse con le munizioni: Bruxelles si è impegnata a consegnare a Kiev 1 milioni di proiettili entro marzo, ma al momento le scorte inviate sono meno della metà. L'industria europea non sembra in grado di produrne a sufficienza nei tempi stabiliti, e l'unica strada per tenere fede alle promesse pare sia l'acquisto di proiettili da fornitori extra Ue. Ipotesi che non piace ai francesi.

La beffa delle munizioni europee all'Ucraina

Il rompicapo intorno all'Epf è solo uno dei pezzi dell'intricato puzzle della spesa militare europea e del sostegno all'Ucraina. Secondo Stefanie Babst, ex vicesegretaria della Nato, "i sostenitori dell’Ucraina dovrebbero mettere in atto un processo efficace per coordinare i loro aiuti militari a lungo termine a Kiev. Ciò che abbiamo ora è un mosaico disfunzionale di varie strutture multilaterali e bilaterali, tra cui l'Epf, il pacchetto globale di assistenza della Nato, il gruppo di assistenza alla sicurezza guidato dagli Stati Uniti a Wiesbaden, in Germania, il gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina , nonché vari gruppi di coalizione ad hoc che si sono concentrati su capacità militari specifiche come la coalizione F-16. Questi e altri forum non coordinano i loro sforzi, producono duplicazioni e mancano di trasparenza e di una rappresentanza sistematica delle industrie della difesa", lamenta Babst in un intervento sul sito di Carnegie Europe.

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