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Domenica, 28 Aprile 2024
Piano a rilento

Perché l'Italia non è messa bene con il Pnrr

Ritardi nell'attuazione degli impegni e pagamenti bloccati o posticipati. E il confronto con gli altri Paesi non è di conforto

Pnrr stravolto, tagli da quasi 16 miliardi: i progetti che saltano

Il pagamento della terza rata è ancora sospeso. Mentre per velocizzare l'iter della quarta, che scadeva il 30 giugno scorso, il governo ha raggiunto un'intesa formale con la Commissione europea per modificare alcuni obiettivi. Che vi siano delle difficoltà da parte dell'Italia nel mantenere il ritmo di esecuzione del suo Pnrr, il piano di rilancio economico varato dall'Ue in seguito alla pandemia di Covid-19, non lo nega nessuno, neanche il governo di Giorgia Meloni. Ma Raffaele Fitto, il ministro che sta seguendo in prima linea il dossier e le trattative con Bruxelles, professa ottimismo. E nell'annunciare le modifiche ai progetti riguardanti la nuova tranche di pagamenti, ha ridimensionato la portata dei ritardi, sostenendo che non ci saranno tagli alle risorse attese e che il nostro Pnrr procede più celermente di quelli degli altri Stati Ue. Saremo "il primo Paese a chiedere la quarta", ha promesso, sempre che non ci siano intoppi con l'Ue. Ma come stanno realmente le cose?

Il confronto con gli altri Pnrr

Fare un parallelo con i piani degli altri Paesi europei è complicato. I vari Pnrr hanno dimensioni diverse tanto nella mole assoluta di finanziamenti, tanto su quella relativa al Pil nazionale. In termini assoluti, l'Italia ha il piano più complesso da gestire: 377 progetti di investimento (i cosiddetti "milestone", ossia pietre miliari) e 150 riforme (i target o obiettivi) da realizzare entro il 2026 con un supporto Ue (tra aiuti diretti e prestiti) di 191,5 miliardi di euro. Dietro di noi, a distanza ravvicinata, c'è la Spagna: 247 progetti e 169 riforme (che dovrebbero arrivare rispettivamente a 265 e 194 con l'arrivo dei prestiti non richiesti in un primo momento). In termini relativi, ossia rapportato al Pil, solo Grecia e Romania hanno uno sforzo amministrativo maggiore del nostro.

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Sono più o meno questi i Paesi che Fitto citta per fare un raffronto con il caso italiano: "Al momento tre Paesi hanno chiesto il pagamento della terza rata, Spagna, Italia e Grecia, e nessuno ha chiesto quello della quarta. Se noi siamo in ritardo, gli altri che situazione hanno?", ha detto. Se la prima parte dell'affermazione del ministro è corretta, la seconda non porta alla risposta che forse Fitto sottende. È vero, infatti, che l'Italia ha richiesto le stesse rate di Spagna e Grecia, ma questo dipende anche dalla differente rateizzazione dei pagamenti concordata dai singoli governi. Roma ha previsto 10 rate in cinque anni, Madrid 8. Inoltre, il governo iberico ha già ricevuto il pagamento della terza rata, a differenza del nostro. Il confronto non è per noi positivo anche si guarda al tasso di progetti e riforme realizzati finora: la Spagna ha raggiunto il 29% degli impegni, mentre noi siamo fermi al 18%. Grecia e Romania sono più in ritardo dell'Italia, ma questo non può essere motivo di conforto.

Lentezza nei pagamenti

C'è poi la questione pagamenti. La Spagna finora ha ricevuto più della metà dei sussidi (ossia i soldi a fondo perduto) previsti in totale. L'Italia è al 38%. Ricevere risorse fresche è sicuramente una boccata di ossigeno per le casse pubbliche, e a oggi Madrid ha potuto contare su più aiuti Ue non rimborsabili. Va detto, che il governo spagnolo ha scelto una strategia diversa rispetto alla nostra: se l'esecutivo di Mario Draghi ha richiesto tutto l'ammontare di sussidi e prestiti previsto dall'accordo con Bruxelles sul Next Generation EU, quello di Pedro Sanchez si è limitato in un primo momento a concordare solo i sussidi, per poi richiedere in un secondo momento, lo scorso febbraio, la parte spettante di prestiti. Col senno di poi, visto il peso della crisi ucraina e di quella energetica sui conti pubblici, la scelta di Sanchez si è rivelata forse più azzeccata nel gestire più agevolmente il flusso di investimenti.

L'Italia, come dicevamo, attende ancora il pagamento della terza rata, bloccata per una serie di osservazioni mosse dalla Commissione europea su come sono stati spesi i fondi dei progetti relativi a questa tranche. Tale ritardo ha avuto un effetto sulla quarta rata, che doveva essere richiesta entro il 30 giugno. È vero, come ha ricordato Fitto, che le scadenze non sono obbligatorie e che per il momento l'Italia non rischia nessuna decurtazione di fondi. Ma come si è visto quest'anno, un ritardo ne provoca un altro, e a cascata l'accumulo di lungaggini può avere un effetto sia sul fabbisogno di cassa dello Stato, sia sulla buona riuscita complessiva del Pnrr. 

Per esempio, l'Italia avrebbe potuto incassare la quarta rata già nel 2023, ma è molto probabile che il pagamento slitti al prossimo anno. La richiesta di modifiche al piano inviata dal governo a Bruxelles per sbloccare tale tranche dovrà adesso essere valutata dalla Commissione. Se arriverà l'ok, il dossier passerà al Consiglio degli Stati membri, che avrà quattro settimane di tempo per pronunciarsi. Se anche qui va tutto come ci si augura, l'Italia potrà formalmente fare richiesta di pagamento. Ma l'esborso non sarà per forza automatico: tutto dipenderà se il nostro Paese dimostrerà di aver ottemperato pienamente agli impegni previsti. È proprio in questo punto che si è arenata la terza rata del Pnrr.

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