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Domenica, 28 Aprile 2024
Pena capitale / Singapore

Saridewi Djamani: chi è la donna impiccata per 30 grammi di eroina

Nel Paese continuano le esecuzioni legate alla lotta alla droga. La protesta degli attivisti per i diritti umani

Venire impiccata dallo Stato per essere stata trovata in possesso di 30 grammi di eroina. È quanto successo a Singapore, Paese che prevede la pena capitale sia per chi spaccia droga, sia per chi la consuma. A essere giustiziata è stata una donna di 45 anni, Saridewi Djamani. A nulla sono valsi gli appelli del suo avvocato e quelli delle organizzazioni per i diritti umani, né l'ammissione da parte dei giudici che la confessione della donna sarebbe stata estorta mentre si trovava alle prese con le crisi di astinenza da metanfetamine. Il 18 luglio scorso, Djamani ha saputo di essere stata condannata a morte. Una settimana dopo è stata impiccata. 

Funziona così nella giustizia della ricca città-Stato del sud-est asiatico a maggioranza buddista (la seconda religione è il cristianesimo seguito dall'islam). Da quando è finita la tregua per la pandemia di Covid, ossia dal marzo dello scorso anno, le esecuzioni sono riprese a ritmo serrato. Secondo Phil Robertson, vicedirettore per l'Asia di Human rights watch, il governo e i tribunali si sono "mossi mossi come una macchina che gira sempre più forte per recuperare il tempo perduto, determinati a svuotare apparentemente il braccio della morte il più rapidamente possibile". Djamani è stata la quindicesima vittima dei boia in poco più di un anno, la prima donna dopo quasi 20 anni a venire impiccata. 

La 45enne aveva una lunga storia di abuso di droghe alle spalle, e quando è stata arrestata nel 2018 non ha negato di aver venduto la droga, ma ha affermato che la maggior parte era destinata al proprio consumo. I 30 grammi ritrovati, secondo la sua confessione, erano una fornitura accumulata per affrontare il mese di digiuno del Ramadan.

Tuttavia, il tribunale non ha creduto al racconto di Djamani e l'ha condannata alla pena di morte per traffico di droga. Il complice della donna, un malese di 41 anni, se l'è cavata con l'ergastolo e 15 colpi di bastone, poiché avrebbe agito solo come corriere. Tuttavia, ci sono pesanti ombre sul processo: un giudice dell'Alta corte ha ammesso che la donna soffriva "di astinenza da metanfetamine da lieve a moderata durante il periodo di raccolta delle dichiarazioni". Ma nonostante questo, la sua confessione è stata ritenuta attendibile.

Il suo caso ha visto scendere in campo ong di tutto il mondo, come la Global commission on drug policy, la Federazione internazionale per i diritti umani e Amnesty International, le quali hanno a più riprese sollecitato il governo di Singapore affinché sospendesse l'esecuzione. Ma per le autorità del Paese asiatico "la pena di morte è un modo efficace per prevenire la criminalità legata alla droga, mantiene la città-Stato al sicuro ed è ampiamente sostenuta dall'opinione pubblica", scrive il Guardian.

La giustizia di Singapore va avanti: proprio in questi giorni un fattorino ha ricevuto la notifica della sua esecuzione, che avverrà la prossima settimana. L'uomo, un 56enne, è stato condannato nel 2019 per traffico di circa 50 grammi di eroina. Ha sostenuto durante il processo di non essere a conoscenza del contenuto nel pacco che trasportava. 

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