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Venerdì, 26 Aprile 2024
Clima

Le banche “green” sono già un ricordo: in un anno investiti 26 miliardi in gas e petrolio

Alla Cop26 di Glasgow, 95 big del credito mondiale hanno lanciato un’alleanza per l’ambiente. Ma da allora, gli impegni non sono stati rispettati

Altro che abbandono delle fonti fossili: quattro delle principali banche europee hanno investito nell’ultimo anno circa 20 miliardi di euro in progetti che favoriscono l’espansione dell’estrazione di petrolio e gas. La notizia di per sé non è nuova, se non fosse che questi istituti (le britanniche Hsbc e Barclays, la francese Bnp Paribas e la tedesca Deutsche Bank) erano tra i firmatari dell’accordo raggiunto all’ultima conferenza Onu sul clima, la Cop26 di di Glasgow, con cui 95 banche di tutto il mondo si sono impegnate a tagliare gli investimenti nei settori economici più inquinanti, energie fossili comprese.

L’impegno è stato siglato lo scorso aprile, ma a quanto pare è ancora troppo presto per passare dalle parole ai fatti. Oltre alle quattro banche già citate, come calcolato dal quotidiano britannico Guardian, i 95 firmatari dell’accordo hanno investito dalla Cop26 in poi ben 26 miliardi di euro tra prestiti e finanziamenti ad aziende che possiedono ampi piani di espansione nell’estrazione di combustibili non rinnovabili. Non proprio quello che si attendeva da un gruppo che si era autoribattezzato “Net–Zero Banking Alliance”. 

Il ruolo delle banche  

L’accordo di Glasgow era stato salutato con favore dagli ambientalisti. Come ricorda sempre il Guardian, l’abbandono dello sfruttamento dei combustibili fossili necessario per evitare un aumento della temperatura superiore a 1,5° rispetto ai livelli preindustriali, è un obiettivo arduo da raggiungere senza l’appoggio delle banche, ossia senza reindirizzare i loro lauti fondi di investimento verso un’economia meno inquinante.

Perché è fallito l’accordo?

Alla base del mancato rispetto degli accordi troviamo, in primo luogo, la riluttanza degli azionisti nell’investire in titoli che, dopo un primo boom iniziale, hanno cominciato a generare incertezze alternando periodi di crescita positiva a momenti di netto ribasso.  A tal proposito, un rapporto della scorsa settimana di EY citato dal Guadian evidenzia come il 70% delle aziende britanniche affermi di aver incontrato perplessità da parte di investitori e azionisti circa i loro piani di riduzione delle emissioni.

Un ulteriore motivo di resistenza, spiega Xavier Lerin, senior action manager di ShareAction, è costituito dalla convinzione che, riducendo gli investimenti su gas e petrolio, si rischi di alimentare ancora di più la crisi energetica che l’Europa sta affrontando in questi mesi, e che sta colpendo imprese ed economia. 

La tassonomia Ue

E più o meno la giustificazione che ha spinto la Commissione europea a “salvare” gas e nucleare con la cosiddetta tassonomia verde, un documento che di fatto indirizza i sempre più corposi fondi di investimento green verso i settori considerati più sostenibili per l’ambiente. Per Bruxelles, gas e nucleare sono fonti sostenibili. E con ogni probabilità gli Stati membri dell’Ue confermeranno questa impostazione.

Certo, come dicevamo c’è una grave crisi energetica da affrontare nell’immediato Ma come sottolinea Lerin, se non limitiamo il riscaldamento globale, la stessa economia che si vuole salvaguardare chiudendo un occhio (o più) sui fossili, “soffrirà di gravi impatti legati ai cambiamenti climatici”, con contraccolpi inevitabili “per le società energetiche, le banche e i loro investitori". 

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