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Venerdì, 26 Aprile 2024
Covid-19

Quarantena di 5 giorni, lo stop degli scienziati: "Mancano i dati e rischia di sovraccaricare gli ospedali"

Esperti di tutto il mondo contestano la raccomandazione Usa che piace anche in Italia. Il no del Regno Unito

La decisione del Cdc, il centro Usa per il controllo e la prevenzione delle malattie, di ridurre a 5 giorni il periodo di isolamento delle persone affette da Covid-19 (in assenza di sintomi), ha animato il dibattito anche dall'altra parte dell'Oceano, in Europa, dove diversi politici ed esponentti del mondo imprenditoriale, come il leader di Confindustria Carlo Bonomi, hanno chiesto a gran voce l'adozione di una misura simile. Ma la proposta non convince tutti, a partire dagli esperti, secondo i quali tra il dire e il fare c'è di mezzo un problema serio: la mancanza di evidenze scientifiche a supporto.

La misura Usa

Lunedì, il Cdc ha emesso una raccomandazione che prevede che le persone affette da Covid-19 e asintomatiche dovrebbero restare in isolamento solo per cinque giorni e non hanno bisogno di testarsi per porre fine alla quarantena. I cinque giorni di isolamento devono essere seguiti da cinque giorni in cui si indossa obbligatoriamente una mascherina in presenza di altre persone. La stessa regola si applicherebbe alle persone i cui sintomi stanno scomparendo dopo cinque giorni di isolamento. La decisione è arrivata nel pieno degli allarmi per la carenza di personale in settori come l'assistenza sanitaria, la ristorazione e il turismo. Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno anche dovuto affrontare una preoccupante carenza di tamponi. Una situazione che ricorda da vicino l'Europa e in particolare l'Italia.

I dati scientifici

Il Cdc afferma che la raccomandazione è motivata da dati scientifici che mostrano come la maggior parte delle trasmissioni di Sars-Cov-2 di solito si verificano uno o due giorni prima dell'insorgenza dei sintomi e due o tre giorni dopo. E qui scatta il primo dubbio degli scienziati di tutto il mondo: se gli esperti Usa sostengono che la raccomandazione sia basata su evidenze, perché il Cdc non hanno reso tali dati disponibili al pubblico?

Come spiega il quotidiano tedesco Deutsche welle, infatti, la raccomandazione Usa resta avvolta da un alone di mistero. Tanto più in presenza di studi contrastanti. Uno "studio pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine ad agosto", ricorda Dw, "ha rilevato che il potenziale di trasmissione era più alto due giorni prima e tre giorni dopo l'insorgenza dei sintomi", dunque in linea con quanto affermato dal Cdc. Ma lo stesso studio ha evienziaro anche che "è ancora possibile trasmettere il virus dopo tre giorni" dai primi sintomi.

L'importanza dei test

Dw ha dunque interrogato epidemiologi di mezzo mondo. Emma Hodcroft, epidemiologa molecolare presso l'Università di Berna in Svizzera, ricorda che "i periodi di quarantena originali sono stabiliti in base a ciò che abbiamo scoperto scientificamente sul periodo in cui il virus è vivo, in altre parole sul lasso di tempo in cui la persona potrebbe infettare altri". 

Zoe Hyde, un epidemiologo dell'Università dell'Australia occidentale, sostiene che poiché le persone sono più infettive nei primi giorni, abbreviare il periodo di isolamento ha un senso, ma solo se c'è un test negativo che confermi l'avvenuta guarigione. "Penso che sia una pessima idea eliminare la necessità di risultare negativo a un test, perché porterà molte persone a diffondere il virus nella comunità", ha avvertito Hyde. "Invia anche il messaggio sbagliato sulla gravità del virus. Potrebbe non importare molto alla persona asintomatica a cui è stato permesso di lasciare la quarantena, ma potrebbe essere devastante per le persone vulnerabili nella comunità con cui entrano in contatto", ha aggiunto. .

L'economia prima della salute?

Gli scienziati ascoltati da Dw "temono che la decisione di dimezzare i tempi di isolamento per i pazienti asintomatici e in rapido recupero non sia dettata da preoccupazioni per la salute pubblica". Secondo Tobias Kurth, professore di salute pubblica ed epidemiologia presso l'Università di Berlino, ridurre la quarantena "non è certamente una linea guida" da seguire per una corretta gestione sanitaria della pandemia, ma risponde semma alla necessità "di mantenere in funzione" le attività economiche. 

I fautori della riduzione della quarantena, però, sollevano anche i rischi sanitari legati alla carenza di personale negli ospedali. Ma per Hodcroft si tratta di un modo sbagliato di affrontare il problema, tanto negli ospedali quanto in altri posti di lavoro: "Se si consente a coloro che potrebbero essere ancora contagiosi di tornare in un ambiente di lavoro, c'è la possibilità di favorire la trasmissione, aumentando così le persone infette e perpetuando il problema" della carenza di personale, anziché risolverlo. 

Il no del Regno Unito

Un'altra preoccupazione, scrive sempre Dw, è come reagiranno gli ospedali se i tassi di infezione dovessero aumentare ancora a causa del via libera agli asintomatici. Kurth teme che nei Paesi che affrontano ondate alimentate da Omicron, come Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Germania, l'enorme quantità di casi causerà il collasso dei sistemi sanitari. "Sembra davvero un momento terribile per allentare le restrizioni con la variante Omicron che si diffonde così rapidamente. Non riesco a vedere come il sistema ospedaliero se la caverà", ha detto Hyde.

Non a caso, proprio dal Regno Unito, uno dei Paesi più colpiti da Omicron, è arrivato un secco stop alle pressioni del mondo economico. Il ministro Chloe Smith ha ribadito che l'approccio esistente è "quello giusto" e per questo nel governo non c'è alcun piano per modificarlo. Parole che trovano d'accordo anche i responsabili del Nhs, il sistema sanitario nazionale. Londra ha recentemente ridotto da 10 a 7 i giorni di quarantena, ma ha mantenuto l'obbligo di tampone con esito negativo per porre fine all'isolamento.

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