rotate-mobile
Venerdì, 26 Aprile 2024
Cambio di rotta? / Germania

Perché ora la Germania vuole dire addio al petrolio di Putin

La svolta del governo tedesco sulla Russia. Nel nome del gas, ma non solo

Da poliziotto buono a poliziotto cattivo. E non solo nel nome del gas. Potrebbe essere riassunta così la nuova strategia della Germania di fronte alla guerra in Ucraina. Dopo mesi di critiche in patria e a livello internazionale, con il cancelliere Olaf Scholz accusato di essere troppo morbido nei confronti della Russia di Vladimir Putin, il governo tedesco sembra intenzionato a passare al contrattacco, per uscire dall'angolo geopolitico. E togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei rapporti con i partner. Come? Facendosi portabandiera dell'embargo al petrolio russo. Ma anche alle importazioni di uranio da Mosca, molto care alle centrali nucleari europee.

Il primo passo della nuova strategia è il petrolio. Finora, la Germania è stata accusata (anche da Kiev) di bloccare le sanzioni Ue al gas russo, di cui è il principale importatore. Nella realtà, Berlino non è la sola capitale a temere un blocco dei gasdotti di Mosca: anche l'Italia, che è il secondo Paese importatore di gas russo nell'Ue dopo la Germania, non vede di buon occhio questa misura, almeno non nell'immediato. Ma è vero anche che mentre l'Italia può contare su delle alternative valide (gasdotti da Azerbaigian e Nord Africa, consegne di gnl), l'economia tedesca è legata a doppio filo dall'approvvigionamento da Mosca (per esempio, in Germania non esistono ancora terminali di gnl).

Diverso il discorso sul petrolio, almeno per Berlino. Già da giorni il ministro all’Economia Robert Habeck ripete che la Germania è “molto più vicina all’indipendenza” dal petrolio russo rispetto a prima della guerra, tanto che “un embargo è diventato più gestibile” per il Paese. Stando ai dati forniti da Berlino le importazioni di greggio dalla Russia valgono oggi il 12% del totale nazionale, contro il 35% di due mesi fa. Il problema maggiore resta quello delle raffinerie della Germania orientale, che dipendono dalle importazioni russe per questioni infrastrutturali e contrattuali. Ma anche questo problema potrebbe risolversi con i giusti investimenti e accordi ad hoc.

Ecco perché il governo Scholz, messo di fronte alla necessità di dare una risposta alle pressioni di chi chiede a Berlino una posizione più dura contro Mosca, ha deciso di puntare sull'embargo al petrolio russo. E di farlo coinvolgendo l'intera Ue. Del resto, gli ambasciatori tedeschi a Bruxelles hanno buoni argomenti da usare: se l'obiettivo è colpire le fonti di finanziamento del Cremlino, in termini di flussi di cassa, il petrolio esportato da Mosca nell'Ue vale anche più del gas (soprattutto se si considerano tutti i prodotti petroliferi). E poi, a differenza del gas (etichettato come fonte "verde" dalla tassonomia di Bruxelles), il petrolio è un fossile finito da tempo nella lista nera del Green deal europeo.

Colpire il petrolio, però, potrebbe avere anche un altro vantaggio strategico per Scholz, e stavolta di natura geopolitica: gli Usa, che finora hanno spinto con forza (e successo) l'Ue a rafforzare le sanzioni con Mosca e ad aumentare gli acquisti del loro gas a danno di quello russo, non vedono di buon occhio un embargo europeo al petrolio. Secondo diversi retroscena, il presidente Joe Biden avrebbe attivato canali diplomatici per fare pressioni su Bruxelles e su Berlino affinché il più possibile eventuali strette sul greggio.

Il motivo va cercato nelle elezioni di medio termine degli Stati Uniti, previste a novembre, e che potrebbero consegnare Congresso e Senato ai repubblicani. I sondaggi danno i democratici di Biden in netta difficoltà: la ripresa dell'economia non decolla, mentre l'inflazione continua a erodere il potere di acquisto delle famiglie.  E il leader della Casa bianca potrebbe pagare a caro prezzo il malcontento crescente, soprattutto nelle fasce della popolazione con redditi medio-bassi (su cui invece l'ex presidente Donald Trump ha costruito il suo successo). Lo stesso Trump ha gioco facile a collegare l'aumento dell'inflazione alla guerra in corso in Ucraina, e a incolpare il suo successore di aver scatenato un conflitto per procura con Mosca che si starebbe rivoltando contro le famiglie americane (e che lui, è la tesi di Trump, avrebbe saputo evitare grazie alla sua amicizia con Putin).

Poiché metà del petrolio russo finisce in Europa, un embargo Ue rischierebbe di far schizzare in alto i prezzi del barile a livello internazionale, e quindi anche negli Usa. Alimentando ancora di più la spinta inflazionistica. Già a metà aprile, la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, aveva raccomandato a Bruxelles di stare “attenta” nell'imporre un divieto totale alle importazioni di energia dalla Russia. “Nel medio termine - ha spiegato ieri in una conferenza stampa - l’Europa deve chiaramente ridurre la sua dipendenza dalla Russia per quanto riguarda l’energia”. Tuttavia, ha aggiunto, l’Ue deve "stare attenta quando pensa a un divieto europeo completo, ad esempio, sulle importazioni di petrolio”.  Tale provvedimento “aumenterebbe chiaramente i prezzi globali del petrolio” e “avrebbe un impatto dannoso sull'Europa e in altre parti del mondo”, aveva detto la numero uno dell’economia a stelle e strisce. Yellen aveva poi sottolineato che un embargo totale potrebbe non avere un impatto così negativo sulle finanze di Mosca, con la Russia che invece beneficerebbe di prezzi più elevati dell’energia causati proprio dal provvedimento europeo. 

Yellen si era tenuta sul vago, specificando solo in un passaggio di rifersi al petrolio, e lasciando il dubbio se il suo ragionamento riguardasse o meno anche il gas. Di sicuro, le sue parole sono state viste come un'inversione a "U" rispetto alla sicumera mostrata da Biden (spalleggiato dal Regno Unito) nel promuovere già a inizio marzo una stretta proprio sul petrolio russo. Quella stretta mise ancora più pressioni sugli alleati, e fece uscire allo soperto le difficoltà della Germania nei suoi rapporti con Mosca. Scholz ha parato i colpi finché ha potuto, anche bloccando le forniture di armi verso Kiev. Ma adesso ha cambiato orientamento: prima ha autorizzato l'invio di carri armati in Ucraina. E adesso sta mandando in avanscoperta i suoi ministri per spingere l'Ue a dire addio al greggio russo. 

Così facendo sta invertendo le posizioni: stavolta, a fare la parte del poliziotto cattivo è Berlino. Mentre Washington comincia a mostrare le sue debolezze. La stessa dinamica potrebbe nascondersi dietro l'idea, portata a Bruxelles dai tedeschi, di prendere di mira non solo i fossili di Putin, ma anche l'uranio. Finora, se n'è parlato poco, ma per alimentare le loro centrali elettriche, i Paesi Ue hanno bisogno dell'uranio russo, che rappresenta il 20% dell'approvvigionamento di questo metallo. Un eventuale embargo dell'uranio metterebbe in difficoltà la Francia, per esempio, non tanto per ragioni di scorte, ma soprattutto per i rapporti tra il gigante transalpino Edf e la russa Rosatom. Il presidente francese Emmanuel Macron, finora, non ha offerto grandi sponde a Scholz nei suoi problemi con il gas russo. Adesso, potrebbe venire ricambiato con la stessa moneta. E come Biden, anche Macron ha una delicata campagna elettorale da giocarsi, quella per l'elezione dei membri del Parlamento, prevista per giugno. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Perché ora la Germania vuole dire addio al petrolio di Putin

Today è in caricamento