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Venerdì, 26 Aprile 2024
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“Le voci della memoria”: ricordare gli orrori di Auschwitz per costruire un presente (e un futuro) migliore

Intervista a Benjamin Cucchi, vincitore del premio Cittadino europeo 2020

Abbiamo intervistato Benjamin Cucchi, studente magistrale di filosofia all’Università del Piemonte Orientale (Upo), che con il suo progetto “Le voci della memoria” ha vinto l’edizione 2020 del premio Cittadino europeo. L’onorificenza, che ha valore simbolico, viene concessa annualmente dall’Europarlamento ai cittadini, le associazioni o le organizzazioni che presentino delle iniziative volte a incoraggiare la comprensione reciproca, la cooperazione e l’integrazione tra i Paesi membri e le persone nonché la tutela dei valori e dei diritti fondamentali che l’Ue riconosce.

“Le voci della memoria” è un podcast che Benjamin ha voluto intendere come una sorta di “audiodocumentario” dei viaggi della memoria, esperienze organizzate dall’associazione Deina (di cui fa parte) nei luoghi dove il secolo scorso si è consumato l'Olocausto.

Il tuo progetto ha vinto: di cosa si tratta? 

Il progetto si chiama “Le voci della memoria”, è un podcast realizzato da me sia dal punto di vista della progettualità che della realizzazione insieme a Radio6023, la web-radio degli studenti dell’Università del Piemonte Orientale (Upo). Hanno avuto un grande ruolo anche l’associazione Deina, che organizza i viaggi della memoria di cui parleremo tra un attimo, l’Upo, che ha finanziato in parte il progetto, e ovviamente gli studenti che hanno partecipato. “Le voci della memoria” è un podcast che racconta un viaggio della memoria, in particolare “Promemoria Auschwitz”, che è appunto un progetto di viaggi della memoria, organizzato da Deina che dal 2013 porta a Cracovia e ad Auschwitz le ragazze e i ragazzi dei licei e delle università di tutta Italia. Di solito portiamo all’incirca 2000-3000 persone ogni anno. Il nostro progetto è una specie di audiodocumentario che segue il viaggio dall’inizio alla fine, seguendo nello specifico un gruppo di 12 ragazze e ragazzi dell’Upo, dai laboratori iniziali fino al viaggio in tutte le sue tappe: sono sette giorni di viaggio più il ritorno a casa. È stato realizzato, tra l’altro, in una fase in cui all’inizio non c’era ancora il Covid e gli ultimi episodi sono stati realizzati durante il Covid, quindi a distanza.

Come nasce questo progetto?

È nato da un bisogno che sentivo personalmente, anzi diciamo da un bisogno e da un incontro: io ho iniziato nello stesso anno sia a fare il tutor per Deina, quindi ad accompagnare ragazzi e ragazze nei viaggi della memoria, sia a fare queste esperienze all’interno della radio universitaria. Sentivo il bisogno di estendere l’impatto che potevamo avere con i viaggi della memoria, perché il fatto è che noi portiamo, come dicevo, circa 2000-3000 ragazzi, che sono tanti ma non tantissimi. Ma poi c’è il problema di raccontare a chi non è partito, a chi non ha mai fatto un’esperienza del genere, di cosa si tratta. È il problema di questi viaggi: sono viaggi che ti trasformano, delle esperienze formative importantissime, ma poi è difficile raccontarle perché lo stare insieme, essere lì dove la storia si è svolta, che è poi il vero valore aggiunto del progetto, tutto questo è difficile raccontarlo a parole. Quindi sentivo il bisogno di comunicare di più e far capire a chi non era partito che cos’è fare un viaggio della memoria. Quando il progetto è stato accolto anche dalla mia università ho preso la palla al balzo e ho unito le mie due competenze, di tutor e di podcaster.

Come pensi che questo progetto sia utile all’Ue? Perché pensi che sia stato premiato?

Secondo me tutto parte dal fatto che Auschwitz è diventato un simbolo, e tutta la storia di questo simbolo sta alla base, in modo negativo ovviamente, dei valori dell’Ue. L’Ue si è costruita in reazione, in negazione rispetto a ciò che è successo lì: molti dei valori su cui si fonda l’Ue sono codificati proprio per evitare che una cosa del genere si possa ripetere. Quello è stato il punto più basso da cui bisognava ripartire, il male estremo da tenere sempre in mente per capire da cosa distanziarsi e cosa bisogna fare per costruire una società migliore da quella che ha avuto Auschwitz come esito finale. Quindi raccontare questa storia è già importante da questo punto di vista.

Poi dobbiamo anche considerare che i testimoni diretti stanno scomparendo, e quindi abbiamo bisogno di nuovi testimoni. Noi con questi viaggi e con il loro racconto vogliamo fare proprio questo: creare dei nuovi testimoni, che ovviamente non possono avere la stessa esperienza diretta di chi ha vissuto quegli orrori, ma è un nuovo tipo di testimonianza diretta. Il nostro obiettivo, quando si torna, è quello non solo di ricordare ma di fare di quest’esperienza un momento di cittadinanza attiva, e far sì che le persone si facciano anzitutto testimoni di quello che è successo per poi impegnarsi anche per capire cosa possono fare nella società di oggi, in quanto cittadini, per migliorare e non tornare indietro ma, anzi, andare avanti. Poi c’è anche il fatto che sia un progetto che coinvolge due nazioni, l’Italia e la Polonia: c’è l’aspetto del viaggio, della scoperta, del conoscere una nuova cultura che è sicuramente importante per l’Ue perché ci fa capire che siamo tutti parte, se non dello stesso Stato, di uno stesso humus culturale.

Cosa pensi che l’Ue dovrebbe migliorare per quanto riguarda questi temi?

Penso che ci sia da lavorare sul tipo di narrazione retorica dell’argomento, quello che si sente durante le giornate della memoria (ma non solo in ambito Ue, anche ad esempio nelle scuole). Di solito si parla solo di ricordo: ricordiamo quello che è successo e che non capiti mai più. Io vorrei che invece questo cambiasse: non solo che parlassimo del passato, ma che usassimo quel passato per parlare del nostro presente e per costruire un futuro migliore. Penso che questo sia da fare: enfatizzare che c’è un motivo per cui esiste la giornata della memoria, per cui se ne parla e si fanno i viaggi della memoria, ed è il fatto che è importante per il nostro presente e il nostro futuro.

Cosa ne è di questo progetto dopo il premio? Hai altri progetti per il futuro?

Il podcast si chiude qua nel senso che è stato pensato come un’esperienza autoconclusiva: 10 episodi che iniziano e finiscono e penso che sia giusto così, non ci sarà un sequel. Io personalmente continuerò a fare il tutor per Deina. L’anno passato l’abbiamo fatto in via telematica ed è stata un’esperienza nuova, molto particolare: non siamo partiti, abbiamo fatto tutta la parte di laboratori pre- e post-viaggio online e una visita virtuale con un video a 360º di Auschwitz. Non è stata la stessa cosa, però è stato interessante e abbiamo imparato moltissimo. Quest’anno non so cosa succederà, se saremo di nuovo costretti a vederci in via telematica o se riusciremo a partire: vedremo. Quanto ai podcast, quest’anno ho avuto un’altra esperienza ma in un ambito diverso, quello della divulgazione della ricerca scientifica sul cambiamento climatico in un podcast che si chiama “Da clima a fondo”. Ho in cantiere anche un progetto per la mia tesi: farò un podcast ma avrà un tema diverso da quelli affrontati con “Le voci della memoria”. La mia creatività è comunque sempre pronta a ricevere temi di questo genere, ma non ho progetti specifici in mente riguardo a questo tema o all’Ue, anche se mi piacerebbe.

Hai qualcos’altro da aggiungere?

No, abbiamo toccato tutto. Vorrei solo fare un invito a chi ci legge di essere cittadini attivi nell’Ue, perché ci sono diverse possibilità per farlo, anche in modo molto più semplice che creare appositamente un proprio progetto. Ad esempio so che è in corso la Conferenza sul futuro dell’Europa, dove ci viene data l’opportunità di condividere le nostre idee e i nostri contributi tramite un apposito portale, quindi vorrei invitare tutti a darci un’occhiata e a pensarci.

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