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Venerdì, 26 Aprile 2024

Perché lo scudo anti-spread della Bce potrebbe essere un incubo per l’Italia

Doveva essere lo scudo “salva Italia”, il paracadute anti-spread per controbilanciare l’aumento dei tassi di interesse voluto dai falchi del rigore della Germania, e che rischia di produrre effetti nefasti per i Paesi dell’Eurozona a più alto debito pubblico. Ma per come è stato congegnato, il Transmission protection instrument (Tpi) varato dalla Bce, più che aiutare Stati come il nostro o la Grecia, rischia di innescare un nuovo braccio di ferro tra Paesi del Sud e falchi del rigore dai toni drammatici come quelli visti nei mesi della pandemia precedenti il Recovery fund.

In linea generale, il Tpi ricorda il programma di acquisto titoli lanciato dall’allora presidente della Bce Mario Draghi (il cosiddetto “bazooka”)  all’indomani del suo “whatever it takes”: in sostanza, se un Paese dell’Eurozona ha difficoltà gravi a finanziarsi sui mercati perché non riesce a vendere i suoi bond di Stato a tassi convenienti (difficoltà ‘fotografate’ dallo spread), la Banca centrale europea interverrà comprando di fatto questi titoli. Il programma di Draghi aveva fissato un tetto agli acquisti, il Tpi del suo successore Christine Lagarde non ha limiti. Ma questa è una buona notizia, almeno per l’Italia, solo in parte. 

Il problema, infatti, è che questo nuovo programma non scatterà automaticamente, ma solo per quelle “giurisdizioni che subiscono un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali specifici del Paese”. Ossia, tradotto, per quegli Stati che hanno problemi a vendere i loro bond nazionali e che rispettano determinati criteri di stabilità dei conti (i “fondamentali”). 

Ed ecco qui che rispunta la lunga mano dei numi tutelari del rigore. Già, perché i criteri scelti dalla Bce per determinare su un Paese abbia o meno i fondamentali per accedere agli aiuti anti-spread del Tpi sono quattro e sembrano essere un assist ai falchi dell’austerity che in questi anni, e fino al 2024, hanno mal digerito lo stop al Patto di stabilità deciso da Bruxelles con lo scoppio della pandemia.

I criteri individuati sono 4. I primi due riguardano proprio il Patto di stabilità: il Paese che accede allo scudo non dovrà essere soggetto a una procedura per disavanzi eccessivi o per squilibri macroeconomici eccessivi. Ora, prima della pandemia, l’Italia era a rischio procedura per via del suo alto debito pubblico. La pandemia ha deteriorato ancora di più il nostro debito, ma in compenso, col Patto sospeso, non dovrebbero esserci rischi in tal senso, almeno fino al 2024.

Il condizionale è d’obbligo perché nel suo documento esplicativo, la Bce aggiunge una postilla ai primi due criteri: il Paese, anche in assenza di una procedura, non deve “essere valutato come non aver intrapreso un'azione efficace in risposta a una raccomandazione” di Bruxelles. E cosa dicono le ultime raccomandazioni per l’Italia? Dicono, tra le altre cose, di contenere la spesa corrente già nel 2023, tenendola al di sotto di una crescita dello 0,4% rispetto all’anno precedente, e avviare la riduzione del debito e del deficit in modo graduale e credibile.

Si tratta di una raccomandazione molto cara ai falchi in giro per l’Ue. "Il fatto che gli Stati membri siano ora in grado di deviare dal Patto di stabilità e crescita non significa che debbano effettivamente farlo", aveva detto all’epoca il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. Ora, laddove non può il Patto, potrebbe il Tpi.

Per essere ancora più chiari, il terzo criterio del Tpi, lascia ancora più discrezionalità alla Bce: “Nell'accertamento della sostenibilità della traiettoria del debito pubblico”, ovvero, nel caso italiano, nel valutare se Roma stia seguendo le raccomandazioni sul contenimento della spesa, “il Consiglio direttivo terrà conto, ove disponibili, delle analisi di sostenibilità del debito della Commissione europea, del Meccanismo europeo di stabilità, il Fondo monetario internazionale e altre istituzioni, unitamente all'analisi interna della Bce”. 
Se i tre criteri sopra esposti non bastassero, il quarto e ultimo baluardo da superare per ottenere gli aiuti del Tpi è il “rispetto degli impegni presentati” nei Piani nazionali di ripresa e resilienza, i Pnrr. Quali sono questi impegni? Ci sono le varie riforme del catasto, della pubblica amministrazione, della giustizia, del mercato del lavoro e della concorrenza. Riforme non semplici, la cui attuale crisi politica non renderà di certo meno complesse da realizzare, anzi.

Per come sono stati formulati i criteri, è evidente che si lascia alla Bce un largo margine di discrezionalità ‘politica’ nel decidere se attuare o meno il Tpi per questo o quel Paese. Può essere un bene per l’Italia, ma anche un male. Tanto più se si aggiunge che la decisione spetta non solo alla presidente Lagarde, ma al Consiglio direttivo di Francoforte. Ossia alle banche centrali di tutti i Paesi Euro, tra cui anche la tedesca Bundesbank, che ha già tuonato contro un ritorno del bazooka di “draghiana” memoria. 

Come ha scritto il Welt, quotidiano tedesco vicino alle posizioni dei falchi del rigore, il Tpi potrebbe aiutare “i famigerati peccatori del debito", ossia Italia e Grecia, facendo della Bce “la bad bank europea, che assorbe tutti i titoli spazzatura che non possono più essere imposti a nessun altro investitore". Questo, tanto per capire i contorni del dibattito europeo che potrebbe attenderci nei prossimi mesi, e che ricorda da vicino le polemiche pre-Recovery fund. 

All’epoca, la drammaticità della pandemia e l’unione di intenti tra i Paesi più colpiti dal virus (Italia, Spagna e Francia) vinsero le resistenze di rigoristi e frugali. Adesso, la situazione è diversa. E come già detto, la crisi politica italiana non aiuta. Così la pensano alcuni analisti, come Fabrizio Santin, senior investment manager di Pictet, secondo cui, i criteri stretti posti dalla Bce per il Tpi, potrebbe trasformare uno strumento nato per contenere lo spread in una sorta di stimolo alla speculazione sui mercati dei titoli e quindi all’aumento dello stesso spread:  "Il rischio – dice all’Ansa - è che, alla luce dei recenti avvenimenti politici in Italia, i mercati finanziari vadano a testare la risolutezza della Bce a contenere l'allargamento degli spread”. Ossia, a verificare se Lagarde sia davvero pronta a ripetere l’esempio di Draghi del “whatever it takes”. O se non ne abbia la forza, anche per l’assenza, in Italia, di “un” Draghi capace di tenere testa ai falchi in Europa.  

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