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Venerdì, 26 Aprile 2024
Ritorno al passato

Sulle nostre tavole torna l’olio di palma (a causa della guerra in Ucraina)

Piccole e medie aziende alimentari lo stanno acquistando per sostituire quello di girasole. Ma presto anche i big potrebbero fare marcia indietro

La guerra in Ucraina ha sconvolto gli approvvigionamenti alimentari verso l’Europa. E il bisogno di sostituire l’olio di girasole potrebbe causare la ricomparsa sui mercati europei del famigerato olio di palma, da poco rimosso in buona parte delle produzioni alimentari dell'Ue e del Regno Unito dopo lunghe campagne degli ambientalisti.

Come ricorda Politico, Russia e Ucraina sono i due maggiori produttori di olio di girasole al mondo. Ma la guerra ha comportato un crollo verticale delle esportazioni, e l’industria alimentare sta correndo ai ripari. L’olio di girasole è usato in una vasta gamma di prodotti, dalla maionese ai biscotti, e l’Ue importa circa metà di quello ucraino.

Ma da quando l’invasione russa ha di fatto fermato l’industria alimentare del Paese ex-sovietico (imponendo anche un blocco navale sul Mar Nero), i prezzi sono schizzati alle stelle. La conseguenza è che diverse aziende alimentari europee stanno valutando di tornare ad utilizzare olio di palma e di soia per sostituire quello di girasole, con buona pace dei danni ambientali che la loro estrazione provoca nelle foreste tropicali.

La catena britannica di supermercati Iceland ha già annunciato che, nonostante sia un motore della deforestazione e della perdita di habitat e biodiversità nel sud-est asiatico, tornerà ad utilizzare l’olio di palma. E non sarebbe l’unica. Secondo Politico, un grande cambio di passo sarebbe già in corso.

Dal canto loro, i produttori di olio di palma (Malesia e Indonesia in testa) sono ansiosi di riconquistare le fette di mercato perse in questi anni. E la Fao ha già rilevato un aumento record dei prezzi dell’olio di palma lo scorso marzo. Per gli ambientalisti è un disastro annunciato: “L’aumento dei prezzi spingerà un’espansione accelerata e la conversione in nuovi paesaggi agricoli e forestali”, ha avvertito l’attivista indonesiano per i diritti degli indigeni Norman Jiwan. “Le piantagioni esistenti non riusciranno a soddisfare tutte le richieste del mercato”.

Negli ultimi anni, le intense campagne contro la deforestazione nelle aree tropicali hanno puntato il dito contro la produzione di olio di palma, responsabile della decimazione di antiche foreste e delle popolazioni di oranghi, così come dell’aumento delle emissioni di CO2. In risposta a queste pressioni, il consumo di olio di palma si è ridotto nel Vecchio continente e molti grandi marchi del settore alimentare hanno promesso di rimuovere il prodotto dalle proprie linee di fornitura.

Ma ora le aziende sono bloccate tra il mantenere tali promesse e l’assicurarsi di rimanere sul mercato. L’amministratore delegato di Iceland, Richard Walker, ha detto di provare “un enorme rammarico” per il ritorno all’olio di palma, ma che l’alternativa sarebbe “quella di liberare i nostri congelatori e scaffali da una vasta gamma di prodotti di base”.

Naturalmente, mentre diverse aziende di piccole e medie dimensioni stanno già tornando all’olio di palma, la questione è più complessa per quelle più grandi, che soffrirebbero di un danno di reputazione non indifferente. Ma queste possono permettersi di aspettare ancora un po’, avendo ampie scorte di olio di girasole. Senza contare che cambiare improvvisamente le ricette per passare da quest’ultimo a quello di palma ha implicazioni non solo ambientali ma anche nutrizionali. Dal canto suo, Barilla ha dichiarato che “non tornerà all’olio di palma”, abbandonato nel 2016. Si impegnerà piuttosto a sostituirlo con olio di soia e di oliva.

Per allontanare le preoccupazioni ambientali, le aziende più piccole si affidano a sistemi di certificazione che possono verificare la sostenibilità degli alimenti. Ma spesso, secondo Barbara Kuepper, ricercatrice presso la società di ricerca Profundo, questi indicatori non sono molto affidabili e anzi “ci sono molte lacune”. Il problema è poi ancora peggiore con l’olio di soia, legato alla deforestazione in Paesi come l’Argentina ed il Brasile.

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