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Sabato, 27 Aprile 2024
Cavallo di Troia / Ungheria

La passione di Orban per la Cina e le auto elettriche

L'Ungheria potrebbe diventare uno dei maggiori poli di produzione di batterie in Europa. E questo grazie agli investimenti di Pechino

Se per Giorgia Meloni e Matteo Salvini l'auto elettrica e la Cina rappresentano due pericoli massimi per aziende e lavoratori nostrani, uno dei loro principali alleati in Europa, il premier ungherese Viktor Orban, marcia in direzione contraria. Già, perché l'Ungheria potrebbe presto diventare uno dei principali produttori di batterie per veicoli elettrici del Continente. E questo grazie ai lauti investimenti proprio di Pechino. Con cui il leader di Budapest, tra i nuovi "eroi" della destra italiana, ha un rapporto sempre più stretto.

Auto cinesi, operai ungheresi

Secondo quanto riporta il quotidiano Politico, il governo magiaro sarebbe vicino a chiudere un accordo con la casa automobilistica cinese Byd per ospitare nel Paese il primo stabilimento europeo dell'azienda. Stabilimento che andrebbe ad aggiungersi agli impianti di altre aziende cinesi come Catl, Eve Energy, Ningbo Zhenyu Technology, Nio e Huayou Cobalt, tutti annunciati nel corso del 2023.

Alcuni di essi, ad esempio quello gestito dalla Eve Energy, fornirà batterie alla tedesca Bmw, che da tempo ha stabilito una forte presenza manifatturiera nel Paese magiaro. Secondo alcune ricostruzioni, pare che siano state proprio le intense sinergie tra l'industria dell'automotive di Berlino e di Budapest ad aver spinto il cancelliere Olaf Scholz a trovare l'accordo con il leader ungherese per non far naufragare l'apertura dei negoziati per l'accessione di Kiev all'Ue (e ad aprire i rubinetti di Bruxelles per far arrivare nelle casse di Orbán 10 miliardi di fondi comunitari congelati).

Da anni ormai l'Ungheria sta puntando sull'industria automobilistica quale volano della propria economia: parliamo di un 6% circa del Pil, mentre i fornitori esterni rappresentano un altro 8-9%. Come detto, c'è una parte importante della produzione tedesca, ma sono anche presenti stabilimenti sudcoreani, giapponesi e, appunto, cinesi, che stanno investendo molto nella produzione di veicoli elettrici. I colossi mondiali sono attratti dalla manodopera magiara che è qualificata ma rimane ancora a basso costo, mentre il Paese rappresenta un importante punto d'ingresso per il mercato europeo.

Da Pechino con amore

Del resto, la Cina è il principale investitore estero in Ungheria fin dal 2020. Ma il governo di Budapest vuole rafforzare ulteriormente il legame economico con Pechino, nell'ottica di quella che è stata ribattezzata una politica di "apertura orientale" (una formula che ricorda l'Ostpolitik tedesca inaugurata dal cancelliere Willy Brandt). La scorsa estate, il ministro degli Esteri di Budapest Péter Szijjártó si era spinto a sostenere che tanto il de-coupling quanto il de-risking dall'economia del Dragone rappresenterebbero "un suicidio per l'economia europea".

Il primo ministro ungherese è stato l'unico leader Ue a presenziare al forum della Via della seta cinese (o Bri, acronimo dell'inglese belt and road initiative) lo scorso ottobre a Pechino, ricevendo il riconoscimento di "amico della Cina" nientemeno che dal presidente Xi Jinping in persona. Nemmeno due mesi dopo, i vertici comunitari si recavano nella capitale cinese per provare a fare la voce grossa su libera concorrenza e bilancia commerciale, facendo sostanzialmente un buco nell'acqua.

Una vera e propria "testa di ponte" (o, per chi vuole, un cavallo di Troia) per gli interessi cinesi nel Vecchio continente, insomma, nelle parole di Dóra Győrffy, docente di economia dell'università Corvinus di Budapest citata da Politico. Come avviene, del resto, con quelli russi: dinamiche che mettono nelle mani di Pechino e Mosca delle grosse leve con le quali ricattare Bruxelles, o almeno con cui incrinare l'unità dei Ventisette. E così, dai negoziati sull'Ucraina alle sanzioni alla Cina sui diritti umani, abbiamo ormai imparato a vedere come i veti di Orbán impediscano puntualmente all'Europa di prendere una posizione univoca sulle questioni che interessano direttamente le dirigenze russa e cinese.

La prospettiva da Roma

In effetti, l'Ungheria è uno dei pochi Paesi Ue ancora dentro la Bri, mentre il governo Meloni ha recentemente abbandonato questo progetto dopo che Roma era salita a bordo nel 2019. L'esecutivo dell'epoca era guidato da Giuseppe Conte, ma uno dei due vicepremier di allora, il segretario della Lega Matteo Salvini, ricopre oggi la stessa carica.

Dopo aver approvato il memorandum incriminato quattro anni fa, il leader del Carroccio è ora tra i più vocali sostenitori del fronte anti-Pechino, da declinare soprattutto nell'opposizione all'acquisto, da parte europea, delle tecnologie cinesi centrali per la transizione ecologica come pannelli solari, batterie e auto elettriche.

Ma, allo stesso tempo, tanto Salvini quanto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sono alleati in Europa proprio con Viktor Orbán, che sta facendo di tutto per disinnescare i tentativi (anche italiani) di allontanare gradualmente il Vecchio continente dalla potenza cinese.

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