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Sabato, 27 Aprile 2024
Top jobs

No a Draghi, Meloni vuole Lollobrigida in Ue: così si prepara il rimpasto di governo

In vista delle elezioni di giugno, è già scattato il toto-poltrone. La premier conta di far valere il suo peso di consensi e i rapporti personali costruiti in Europa in questi mesi per ottenere un posto di prestigio in Commissione. Ma l'ipotesi di un incarico a Bruxelles per l'ex governatore della Bce rischia di complicare i suoi piani

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo si terranno fra sei mesi, ma la corsa ai principali posti di potere delle istituzioni Ue, i cosiddetti "top jobs", è già cominciata, complice l'addio anticipato del presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Il politico belga ha annunciato di candidarsi a un seggio da eurodeputato, e questo potrebbe far scoprire le carte di governi e partiti prima del tempo. Uno dei nomi emersi, proprio per sostituire Michel, è quello di Mario Draghi. Ma l'ex governatore della Bce potrebbe complicare i piani di Giorgia Meloni, che punta a un posto di prestigio nella futura Commissione Ue. Da assegnare magari a uno dei suoi ministri: Francesco Lollobrigida o Raffaele Fitto. Il che potrebbe fa scattare a sua volta un rimpasto di governo.  

L'ombra di Draghi

Ma andiamo per ordine. Proprio all'indomani dell'annuncio di Michel, il Financial times ha ritirato fuori l'ipotesi di un incarico di vertice per Draghi, ipotesi che era già circolata nelle scorse settimane. Stando a funzionari e diplomatici europei sentiti dal quotidiano britannico, l'ex premier italiano è considerato in pole per prendere il posto di Michel già prima di luglio, quando il politico belga dovrà lasciare l'incarico per sedersi, molto probabilmente, al Parlamento Ue. Ma è difficile che Draghi possa ottenere l'appoggio del suo stesso governo. Il motivo è l'ambizione di Giorgia Meloni: la premier vuole far valere il poprio peso di consensi (stando ai sondaggi, FdI dovrebbe essere tra i partiti con più deputati nella prossima Eurocamera) e i rapporti personali costruiti in Europa, compreso quello con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. 

Quali sono i top jobs

Per comprendere meglio il quadro, bisogna passare dalle dinamiche che portano alla nomina dei "top jobs". Gli incarichi principali nelle istituzioni Ue sono storicamente 5: i presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento, l'Alto rappresentante per la politica estera e il governatore della Banca centrale europea. C'è chi aggiunge anche il presidente dell'Eurogruppo, mentre di recente ha assunto un ruolo di primo piano la presidenza della Bei, la Banca europea per gli investimenti. 

Bce, Eurogruppo e Bei sono partite già giocate. Restano da assegnare gli altri quattro incarichi di vertice, che nella prassi in voga a Bruxelles vengono decisi in unico pacchetto al termine di complessi negoziati volti a trovare un equilibrio tra le istanze dei governi nazionali e quelle dei partiti europei. 

Il vertice del Parlamento

Finora a spartirsi le cariche di peso in Europa sono stati essenzialmente i tre partiti Ue di maggioranza: popolari (Ppe), socialisti (Pse) e liberali (Renew). La novità delle prossime elezioni potrebbe essere l'irruzione dei conservatori (Ecr) guidati da Meloni. Stando agli ultimi sondaggi, l'attuale trio di maggioranza dovrebbe comunque poter mantenere, seppur per pochi seggi, il controllo dell'Eurocamera. Il Ppe dovrebbe restare il primo partito europeo per voti e deputati, e dunque avrebbe il diritto di nominare uno dei suo membri per la presidenza di Strasburgo, oppure cedere il passo ai socialisti (seconda forza) in cambio di un compromesso sugli altri top jobs.  

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Il nome più accreditato al momento è quello di Roberta Metsola, l'attuale presidente e apprezzata da molti, anche al di là del suo partito, il Ppe. La prassi seguita finora è stata quella di una staffetta tra popolari e socialisti per questo incarico, ma nel recente passato il socialista Martin Schulz è venuto meno alla regola, creando un precedente che può giovare alla maltese.

La Commissione

Il nome di Metsola circola anche da tempo per la successione di von der Leyen, sua collega di partito, alla presidenza della Commissione. La tedesca non ha ancora confermato, né smentito il suo interesse per un secondo mandato. In pochi pensano che voglia mettersi da parte, ma la corsa alla riconferma è in salita. Per lei, paradossalmente, i problemi sono più interni al Ppe che fuori. Anzi, i conservatori potrebbero giocare a suo favore: a Bruxelles in molti sostengono che Meloni sia tra i principali sponsor di una "Commissione Ursula bis". 

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Von der Leyen deve però convincere anche socialisti e liberali, a partire da quelli di casa sua: in Germania, i popolari, dopo la lunga era di Angela Merkel, sono all'opposizione, e a guidare l'esecutivo è il socialista Olaf Scholz. Ecco perché il cancelliere potrebbe non ostacolare i tentativi del centrosinistra di puntare al vertice della Commissione: si parla della premier danese Mette Frederiksen, per esempio, ma anche del lussemburghese Nicolas Schmit (attuale commissario all'Occupazione), dell'ex premier portoghese Antonio Costa o della ministra spagnola Teresa Ribeira.

Anche i liberali, da terzo incomodo, potrebbero tentare di sfruttare un'eventuale braccio di ferro tra Ppe e Pse per piazzare un loro uomo (o una loro donna) alla presidenza della Commissione. C'è l'attuale vicepresidente dell'esecutivo Ue, la danese Margrethe Vestager, ma anche il francese Therry Breton (che però sconta il calo di consensi del suo principale sponsor, il capo dell'Eliseo Emmanuel Macron, oltre al fatto che la Francia ha già la governatrice della Bce, Christine Lagarde).

Il Consiglio

La presidenza della Commissione, di norma, viene scelta in parallelo a quella del Consiglio. L'addio anticipato di Michel potrebbe cambiare la prassi. Per il Consiglio, si parla da tempo della necessità di avere un nome di peso nel panorama politico europeo (e tra i requisiti chiave c'è quello essere stato un capo di Stato o di governo dei 27). Un anno fa, c'era chi aveva tirato fuori l'ipotesi Angela Merkel, seguita più di recente da Draghi. Entrambi sembrano però fuori dalla corsa. A Bruxelles, non sono pochi coloro che vedono nel (quasi) ex premier olandese Mark Rutte (che fa parte dei liberali) il candidato ideale per questo posto.

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E l'Italia?

La premier Meloni, nella sua conferenza stampa di fine anno, ha detto chiaramente di voler puntare a un posto chiave nella Commissione. L'incarico più alto di grado, tolto quello di presidente, è l'Alto rappresentante della politica estera, figura a metà tra Commissione e Consiglio che l'Italia ha già ricoperto tra il 2014 e il 2019, con Federica Mogherini.

Messo da parte il commissario all'Economia, piazza attualmente occupata dall'ex premier Paolo Gentiloni e dunque soggetta a una possibile rotazione verso altri lidi, Meloni potrebbe puntare alle poltrone della Concorrenza (visti i dossier caldi come Ita e Mps) o del Mercato interno, o ancora Energia. Uno dei papabili al ruolo di commissario è sicuramente Raffaele Fitto, già per tre volte eurodeputato e "inviato speciale" di Meloni in Europa. C'è poi il portafoglio dell'Agricoltura sul quale la premier potrebbe giocare la carta del ministro Francesco Lollobrigida.   

La ambizioni di Meloni potrebbero però venire ridimensionate se l'Italia dovesse ottenere un top job: in questo caso, la premier avrebbe meno margine di manovra nella scelta del commissario e nelle trattative per il portafoglio. Anche per questo, se l'ipotesi di Draghi fosse concreta, Meloni difficilmente la sosterrebbe. 

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