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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'Europa del futuro

Strasburgo vuole riformare i trattati Ue: “Ce lo chiedono i cittadini”

Il Parlamento approva a larga maggioranza l'avvio del processo di riforma. Il no di Lega e FdI. La parola ora agli Stati membri.

Per dare pieno seguito alle proposte emerse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, l’esperimento di democrazia partecipativa in cui i cittadini sono stati coinvolti nella definizione delle politiche europee dei prossimi anni, il Parlamento europeo vuole avviare la revisione dei trattati su cui si fonda l’Ue. La posizione dell’Aula è chiara: per adeguare l’Unione alle sfide del presente e soprattutto del futuro, occorre ripensare le sue regole strutturali.

Durante la plenaria a Strasburgo, l’emiciclo ha incaricato la commissione Affari costituzionali (Afco) di preparare delle proposte concrete di riforma istituzionale, un lavoro che durerà verosimilmente diversi mesi. La posizione dell’Aula è stata appoggiata da un’ampia maggioranza dei suoi membri, dalla Sinistra al Partito popolare: hanno espresso la loro contrarietà solo i due gruppi della destra, Identità e democrazia (dove siede la Lega) e Conservatori e riformisti (che ospita Fratelli d’Italia). Proprio i due gruppi che hanno dichiarato di non approvare le 49 proposte emerse nell’ultima sessione plenaria della Conferenza, lo scorso 30 aprile.

Per l’Eurocamera, dunque, queste “proposte ambiziose e costruttive” necessitano di modifiche ai trattati per essere realizzate pienamente. Come ribadito a conclusione dei lavori dallo stesso Guy Verhofstadt, co-presidente del Comitato esecutivo della Conferenza in quota Parlamento, secondo cui se l’Unione non vuole sparire dalla mappa deve cambiare radicalmente.

Tra le altre cose, l’Aula propone di approfondire l’integrazione nell’ambito della difesa, dell’energia, della crescita inclusiva e sostenibile che attui pienamente il Pilastro dei diritti sociali e permetta di centrare gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Ue. Auspica inoltre una maggiore trasparenza del processo decisionale e una sua semplificazione, che passa dall’abolizione del voto ad unanimità al Consiglio. Infine, Strasburgo torna a chiedere il diritto di iniziativa legislativa per avere un peso maggiore nella definizione delle politiche europee (attualmente solo la Commissione può avviare la legislazione).

Quella della riforma dei trattati è una priorità nell’agenda del Parlamento europeo da sempre. Ma secondo alcune analisi, solo una percentuale compresa tra il 10 ed il 12% delle proposte dei cittadini richiede effettivamente che si metta mano alle leggi fondamentali dell’Ue. Per molte altre, come ad esempio l’introduzione di liste transnazionali per le prossime elezioni europee (anch’essa appoggiata dagli eurodeputati questa settimana), basterebbe una decisione del Consiglio, così come non servirebbe scomodare i trattati per riformare il sistema di Dublino.

Secondo la procedura ordinaria descritta all’articolo 48 del trattato sull’Unione europea, quando il testo licenziato dall’Afco sarà approvato dall’Eurocamera verrà trasmesso al Consiglio (dove siedono i ministri nazionali), il quale lo inoltrerà al Consiglio europeo (che riunisce i capi di Stato o di governo dei Ventisette). Al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, spetterà dunque convocare una convenzione (che comprende i rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei governi degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione) per discutere delle proposte di riforma dei trattati. Per chiamare tale convenzione è sufficiente la maggioranza semplice, 14 Stati su 27: e diversi Paesi, tra cui Germania, Francia e Italia, sembrerebbero favorevoli ad aprire il dibattito.

Un processo tutt’altro che semplice o privo di ostacoli, quindi, ma che si sentiva nell’aria già da qualche tempo, soprattutto dopo l’accelerazione nel processo d’integrazione avvenuto (o perlomeno percepito) con la crisi pandemica e la guerra in Ucraina. L’ultimo momento di riforma risale al 2007, quando i leader europei siglarono il trattato di Lisbona, entrato in vigore due anni dopo.

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