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Giovedì, 7 Dicembre 2023
Verso l'ingresso

Perché l'Ucraina in Europa conviene (e quali sono i rischi)

Dall'energia alle materie prime, passando per l'agricoltura. Chi vede in Kiev un tesoro (e chi no)

Con il via libera ai negoziati per l'adesione richiesto dalla Commissione Ue agli Stati membri, l'Ucraina ha compiuto oggi un passo in avanti nel suo percorso che un giorno potrebbe portarla all'interno dell'Unione europea. Lo spera Kiev, ma lo sperano anche diversi attori economici europei. Certo, la strada è lunga e irta di ostacoli, e un'eventuale ingresso sta già mettendo Bruxelles di fronte alla necessità di riformare il proprio assetto istituzionale e il proprio bilancio, oltre a prevenire sconquassi sociali, in particolare tra gli agricoltori. Ma le pressioni di chi vede nell'ex Stato sovietico un'opportunità storica per rilanciare la crescita economica del continente sono altrettanto forti, nonostante nel dibattito pubblico attuale facciano ancora fatica a emergere le regioni degli interessi europei (italiani compresi).

L'Ucraina un passo più vicina all'ingresso nell'Unione europea

L'hub europeo dell'energia

Il principale motivo di interesse delle imprese europee verso l'Ucraina riguarda l'energia. Analisi di prestigiosi think tank come l'Atlantic council o il Cepr vedono in Kiev un potenziale "hub dell'energia europea", una "centrale verde" strategica per trasformare in realtà il sogno del Green deal di Bruxelles. Ricostruire l'apparato industriale ucraino distrutto dalle bombe potrebbe voler dire riconvertirlo alla produzione di tutti quei componenti necessari alla transizione ecologica che a oggi l'Ue è costretta a importare. Lo stesso discorso vale per il suo sottosuolo ricco di minerali, tra cui le cosiddette "materie prime critiche" che oggi sono il simbolo della dipendenza dell'Europa dalla Cina quando si parla, per esempio, di batterie. 

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Il potenziale in termini energetici dell'Ucraina lo ha messo nero su bianco la Commissione europea a inizio anno, con un documento passato quasi inosservato e ribattezzato "piano Timmermans", dal nome dell'ex vicepresidente dell'esecutivo comunitario che in questi anni si è occupato di forgiare il Green deal. 

Nel 2019, l'approvvigionamento energetico primario dell'Ucraina era di circa un quarto di carbone, un quarto di gas, il 21% di energia nucleare, il 13% di petrolio e prodotti petroliferi. Le fonti rinnovabili erano poco sopra il 4% della torta. Secondo il piano di Timmermans, entro il 2030, Kiev potrebbe raggiungere con il solare una potenza installata di 20 Gw (più o meno quanta ne ha oggi l'Italia), mentre per l'eolico il target è di 8 Gw. Obiettivi ambiziosi, che contrastano con il fatto che, a oggi, il grosso del potenziale di energie rinnovabili del Paese si trova nei territori occupati dalla Russia.

Gas e nucleare

Anche per questo, i primi grandi progetti del piano di Timmermans potrebbero concentrarsi su gas e nucleare, le due fonti di "transizione" che l'Ue ha inserito, tra mille controversie, nella sua tassonomia verde, salvando di fatto gli investimenti su queste fonti. Dal gas di produce il cosiddetto idrogeno blu, "ripulito" dalla Co2, che può essere immesso nella rete di gasdotti esistenti tra Ucraina e centro Europa. Una soluzione che sembra attrarre gli interessi della Germania, principale area di sbocco di questi tubi: "Il governo tedesco ha nazionalizzato importanti rivenditori di gas naturale che possono essere partner strategici nella firma di accordi per creare sicurezza sul mercato", si legge nel piano di Timmermans. Berlino è anche al centro di un progetto, il Green hydrogen @ Blue Danube, che prevede la produzione e il trasporto di idrogeno attraverso il Danubio.

La Francia, invece, sembra sostenere in particolare i progetti del piano di Timmermans sull'idrogeno pulito da fonti nucleari: "Le vaste possibilità di produzione di elettricità nucleare ucraina potrebbero contribuire ad abbassare notevolmente il costo della produzione di idrogeno pulito - si legge sempre nel piano - Circa il 30% di sconto sulla capacità complessiva potrebbe essere convertito alla produzione diretta di idrogeno". 

Ammoniaca, biometano e acciaio

Ma il business dell'idrogeno non si ferma qui. C'è l'indotto rappresentato dall'ammoniaca prodotta nella sua realizzazione: "L'Ucraina è dotata di una solida infrastruttura per l'ammoniaca - dice ancora il piano - che è stata utilizzata in precedenza per la produzione russa". Si stima che almeno "5 milioni di tonnellate di ammoniaca potrebbero essere prodotte direttamente in Ucraina" e trasportate "o come vettore" di idrogeno o "come materia prima per fertilizzanti e simili". 

C'è poi il capitolo sul "biometano per uso diretto o per la produzione di idrogeno". L'Ucraina "è tradizionalmente uno dei maggiori produttori di alimenti a livello mondiale - si legge ancora - Poiché le esportazioni sono state influenzate negativamente dalla guerra, i raccolti prodotti non possono essere spediti ai mercati. Una soluzione di transizione sarebbe il loro utilizzo per la produzione di biogas e biometano da immettere direttamente nelle condutture esistenti. La quantità di 10 miliardi di metri cubi è fattibile. Questa potrebbe anche essere una fonte di idrogeno". 

Infine, le acciaierie: per eliminare l'uso carbone in questi impianti, l'Europa sta puntando sulla tecnologia DRI, che utilizza l'idrogeno e i minerali di ferro (pellet) per produrre il cosiddetto preridotto in sostituzione del coke. In Italia, per esempio, tale tecnologia è centrale per la decarbonizzazione dell'ex Ilva di Taranto. "L'Ucraina - dice sempre il piano - possiede notevoli riserve naturali di minerale di ferro, concentrate nelle regioni centro-meridionali e orientali. La produzione siderurgica ucraina potrebbe passare alla tecnologia DRI utilizzando l'idrogeno per ridurre il minerale di ferro. Ciò contribuirebbe alla massiccia decarbonizzazione della produzione siderurgica europea e creerebbe immediato valore aggiunto anche esportando pellet ridotto per essere specializzato in Europa".

Meterie prime

Il piano di Timmermans non approfondisce il tema delle materie prime. Ma questo non vuol dire che la Commissione Ue non si sia già mossa in tal senso: nel luglio del 2021, a pochi mesi dall'invasione russa, Bruxelles e Kiev aveva siglato un memorandum d'intesa sullo sfruttamento del sottosuolo ucraino. Un anno dopo, un altro memorandum è stato sottoscritto tra la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e il Servizio geologico ucraino, finalizzato facilitare la  modernizzazione della gestione dei geodati in Ucraina. "Le materie prime (critiche,ndr) fondamentali per le economie verdi e digitali, si trovano in abbondanza in Ucraina, che detiene depositi di circa 20 su 30 di tali materiali", disse nell'occasione il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic. "Integrando l'Ucraina nelle catene del valore dell'Ue, diversificheremo le nostre forniture e rafforzeremo la nostra base industriale", aggiunse.

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Secondo l'Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina, nel Paese ci sono circa 500mila tonnellate di litio, la più grande riserva in Europa. La rivista Foreign Policy, citando documenti del governo ucraino e analisti stranieri, sostiene che in Ucraina vi siano "depositi commercialmente rilevanti di 117 dei 120 minerali industriali più utilizzati" al mondo. Il valore totale di questi depositi, tra cui titanio, ferro, neon, nichel e il già citato litio, è stato stimato fino a 11,5 mila miliardi di dollari. Ci sono anche riserve di altri minerali ritenuti critici dall'Agenzia internazionale dell'energia come berillio, niobio, tantalio e cobalto, insieme a uranio (la benzina del nucleare) e feldspato, solo per citarne alcuni.

Non c'è solo il fatto che il sottosuolo sia ricco di minerali a rendere strategica l'Ucraina: anche il Portogallo, per fare un esempio, ha grandi riserve di litio, ma il recente scandalo che ha portato alle dimissioni del premier Antonio Costa e le proteste di residenti e ambientalisti contro la costruzione di miniere ha mostrato come sia difficile nell'Ue portare avanti progetti di questo tipo. Un Paese che è affamato di ricostruzione, e che ha dei costi di produzione decisamente più competitivi rispetto al resto dell'Ue, potrebbe avere molti meno problemi in tal senso. Inoltre, l'Ucraina potrebbe essere il luogo adatto dove costruire una filiera che non si fermi solo all'estrazione, ma che arrivi anche (se non soprattutto) alla raffinazione, segmento della catena produttiva su cui la Cina ha oggi il dominio. 

Il ruolo dell'agricoltura

Ma l'interesse europeo per l'Ucraina non si ferma a energia e minerali. C'è per esempio il capitolo manodopera: già oggi l'Ue sconta una grave carenza di lavoratori in diversi settori, e le prospettive demografiche rischiano di allargare tali buchi. L'arrivo di milioni di rifugiati ucraini nell'Ue ha consentito di colmare una buona parte di queste carenze: secondo Oxford Economics, anche se solo 650.000 rifugiati ucraini rimanessero in Polonia e lavorassero, l'economia del Paese crescerebbe dell'1,2% entro il 2030. Consentire la libera circolazione delle persone tra Ucraina e Ue viene vista come uno sviluppo positivo non solo dalle imprese polacche, ma anche da altri Paesi come la Germania. 

C'è poi quello che viene definito "l'elefante nella stanza", ossia l'agricoltura. Il potenziale di Kiev è noto, e la crisi alimentare scatenata dalla guerra lo ha mostrato chiaramente. Meno noti sono gli interessi delle grandi multinazionali, che da diversi anni hanno allungato gli occhi sulla vasta disponibilità di terreni agricoli del Paese. Giganti delle sementi come Bayer, per esempio, hanno continuato a investire con forza sull'Ucraina anche sotto le bombe. Come per l'energia, Kiev potrebbe essere la chiave di volta per risolvere diversi nodi della Farm to fork, la strategia del Green deal sul settore alimentare. Se il rischio denunciato dalle lobby europee del settore è che la spinta verso il biologico e la riduzione degli allevamenti intensivi potrebbe mettere in crisi la produzione di cibo a basso costo all'interno dell'Ue, l'Ucraina potrebbe controbilanciare questa prospettiva, aprendo interessanti prospettive di business per i giganti dell'agrifood.

Il problema è che la potenza agricola di Kiev fa paura ad ampie frange della popolazione europea nelle aree rurali. Si pensi alle proteste degli agricoltori polacchi, ungheresi o bulgari contro i carichi di grano provenienti dall'Ucraina attraverso i cosiddetti corridoi di solidarietà. C'è poi la questione dei fondi Ue: entrando nell'Ue, Kiev avrebbe accesso ai lauti finanziamenti di Bruxelles per gli agricoltori (la Pac, la Politica agricola comune), tra cui i prezioni pagamenti diretti. Oggi, la Pac vale 386,6 miliardi di euro che i 27 Stati membri si spartiscono durante sette anni. Secondo uno studio della Commissione europea, se l'Ucraina aderisse all'Ue, incasserebbe 96,5 miliardi, quasi un terzo dell'intera torta. Gli attuali Stati membri perderebbero in media circa il 20% dei finanziamenti. Per l'Italia, vorrebbe dire rinunciare a circa 8 miliardi dei 38,7 previsti dal bilancio in corso.

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