Così i governi europei stanno affossando il Green Deal
Nonostante gli impegni assunti per ridurre le emissioni di Co2, gli Stati Ue sono in difficoltà nel realizzare i piani concordati: Italia, Polonia e Germania le situazioni più controverse
Era la grande scommessa dell'ultima legislatura europea, ma realizzarla si sta rivelando molto più complesso del previsto. Il Patto europeo per l'Ambiente (Green Deal) doveva segnare la strada per la transizione energetica verde in numerosi settori, dalla protezione della natura alle risorse energetiche, dall'edilizia ai trasporti, al fine di ridurre i gas serra alla base dei cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo i nostri territori. A meno di un anno dalle prossime elezioni europee, fissate nel giugno 2024, Bruxelles sta facendo i conti sia con le difficoltà degli attuali governi degli Stati membri di realizzare i piani concordati, sia con le reticenze degli eurodeputati di finalizzare e votare le norme del pacchetto ancora oggetto di discussione. Per il voto del 2024, insieme ai migranti, le tematiche ambientali e della transizione energetica potrebbero rivelarsi un terreno di scontro determinante.
O la va o la spacca
In base all'ultimo report del Consiglio europeo per le relazioni estere (Ecfr), i Paesi europei sono di fronte ad un bivio storico di stampo "make-or-break" (in italiano suona 'o la va o la spacca'), indicando come questa sia l'ultima opportunità per evitare il peggio. Il report ha messo in guardia dai governi di alcuni Paesi dove gli "interessi nazionali" prevalgono su quelli europei e globali, che esigono un cambio di passo rispetto alle emissioni di Co2. Insieme all'Italia, figurano Grecia, Svezia e Finlandia. Mancare il passaggio cruciale della transizione green significherebbe per l'Europa un disastro economico e sociale senza precedenti, avverte il rapporto, coi cambiamenti climatici che stravolgerebbero in maniera ancora più profonda le nostre vite fino ad un collasso. Il Consiglio ha anche affermato che i politici europei sono tenuti a convincere gli elettori che attenersi alla transizione verde è nel loro interesse, non il contrario. La realtà si discosta parecchio da queste raccomandazioni.
Il peso dei sondaggi
I partiti sovranisti di destra, che della lotta al Green Deal ne hanno fatto una battaglia ideologica e a tratti negazionista, sono in crescita nei sondaggi. Questa "minaccia" sta spingendo una grossa fetta del Partito popolare europeo a rinunciare e/o annacquare quelle riforme che lo stesso Ppe guidato da Ursula von der Leyen aveva individuato come i pilastri di una nuova Europa, più verde ed energeticamente indipendente. Anche vari governi di sinistra, come quello tedesco, stanno arretrando per paura di perdere consensi, dovendo fare i conti con l'opposizione di tanti esponenti dei settori produttivi (edilizia, agricoltura, trasporti), che lamentano le eccessive difficoltà rispetto all'indispensabile svolta produttiva.
Il passo indietro di Berlino
Uno degli stalli più importanti è quello della Germania sul tema dell'isolamento termico degli edifici. Il 24 settembre il ministro dell'Ambiente Robert Habeck ha dichiarato ufficialmente che il governo sospenderà a tempo indeterminato i piani sugli standard più rigorosi di isolamento degli edifici. La decisione è arrivata dopo mesi di lamentele del settore edile, che valute le misure troppo costose e "ostili" a un'industria già depressa dall'inflazione e dalle conseguenze della guerra in Ucraina. Per arginare le difficoltà, l'industria delle costruzioni ha chiesto espressamente al cancelliere tedesco Olaf Scholz di abolire gli standard di isolamento, considerati un ulteriore freno al settore, già bloccato dagli alti tassi di interesse stabiliti dalla Banca centrale europea.
Habeck ha rassicurato gli edili, affermando alla Reuters che non sarà questa la legislatura in cui verranno introdotti questi standard. Il dietrofront arriva dopo un'altra frenata, sempre relativa agli edifici. La camera bassa del parlamento tedesco avesse approvato a settembre un disegno di legge sull'eliminazione graduale dei sistemi di riscaldamento a petrolio e gas. La decisione era stata aspramente criticata dai conservatori perché troppo costosa mentre gli ambientalisti la reputavano blanda. La questione è esplosa all'interno della stessa coalizione rosso-verde-liberale al governo, portandola sull'orlo del collasso, fino a quando il disegno di legge originale non è stato annacquato. Nonostante le numerose marce indietro di Scholz e dei suoi alleati, l'estrema destra dell'Afd cresce nei sondaggi e raggiunge ormai un pesante 22%.
Varsavia nero carbone
In tema ambientale a fare di peggio c'è il governo polacco di stampo conservatore, che ha addirittura fatto causa a Bruxelles. Varsavia ha presentato dei ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell'Ue riguardo una serie di scelte europee: il divieto di utilizzare veicoli a combustione entro il 2035, l’aumento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni del blocco, la riduzione dei permessi gratuiti di Co2. Si è inoltre opposta alle regole comuni nella gestione forestale nazionale, parlando di "interferenza". Il governo del partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość - Pis) è alle prese con una imminente scadenza elettorale (il 15 ottobre, ndr), che per la prima volta la vede in una situazione di incertezza rispetto al dominio dimostrato in questi anni. Di fronte alle pressioni dei sindacati minerari, la Polonia ha anche rinviato un piano per ridurre la propria dipendenza dal carbone.
Sfuggire agli impegni
Un pesante contributo all'arretramento del Green Deal lo si deve anche all’Italia, impegnata su più fronti a diluire la portata di una serie di norme, sia quelle già approvate, che quelle in via di discussione a Bruxelles. Il dato peggiore riguarda i combustibili fossili. Mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l'uscita dal carbone entro il 2027 puntando tutto il banco energetico su nucleare e idrogeno, il governo guidato da Giorgia Meloni ha rinnegato l’impegno assunto al vertice Cop26 a Glasgow di smettere di finanziare progetti internazionali sui combustibili fossili. L'agenzia nazionale di credito all'esportazione (Sace) ha dichiarato in una nota che il sostegno ai progetti di distribuzione del petrolio andranno avanti fino a gennaio 2028, mentre i programmi di stoccaggio e raffinazione del petrolio proseguiranno fino a gennaio 2024. La motivazione addotta è quella della guerra in Ucraina, che avrebbe stravolto il panorama energetico globale. "Il problema è che non possiamo aiutare l'ambiente distruggendo le nostre industrie", ha dichiarato a luglio il primo ministro al termine di un vertice dell'Ue a Bruxelles.
L'ultimo vagone del treno
Secondo dei documenti del ministero dell'Energia, l’Italia è già in ritardo nel raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030 attestandosi su una riduzione del 35-37% di emissioni dei gas serra (rispetto ai valori del 2005), mentre l'obiettivo di decarbonizzazione è fissato dall'Ue al 43.7%. La reticenza dell’Italia ad aderire alle normative europee si è manifestata anche nella volontà di annacquare la direttiva volta a migliorare l'efficienza energetica degli edifici e nella riscrittura dei piani per eliminare gradualmente le automobili con motore a combustione. Anche la spinta a ridurre le emissioni industriali è stata messa in discussione. Questo atteggiamento ha irritato non poco la Commissione Europea. La mancata transizione verso le nuove tecnologie rispettose del clima potrebbe tradursi in un danno enorme per l'industria italiana. "La transizione è qui. Bisogna lavorare su come renderla fattibile e acquisire la leadership in questo processo", ha affermato il commissario economico europeo Paolo Gentiloni, aggiungendo: "Non devi essere l'ultimo vagone del treno a cercare di trattenere gli altri".
Addio allo zar del clima
Ad azzoppare il Patto per l'ambiente è intervenuta anche l'uscita di scena di Frans Timmermans, che del Green Deal è stato il principale promotore al punto da essere da più parti definito lo "zar del clima". Ai grigi corridoi di Bruxelles il politico olandese ha preferito le terre natie, candidandosi alle prossime elezioni dei Paesi Bassi e rinunciando al suo incarico di vicepresidente dell'esecutivo europeo. La sua dipartita è stata compensata con l'attribuzione del dossier al socialista slovacco Maroš Šefčovič, che attende il placet da parte dell'Europarlamento per la prossima settimana alla sua nomina. Toccherà a lui tenere le redini di un carro europeo i cui cavalli procedono imbizzarriti e divisi. Non sarà facile dirigerli tutti insieme verso un clima più mite.