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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Reinfezione da Covid, esperti Ue: l’Italia non monitora i contagi tra i pazienti guariti

Il sistema sanitario non prende nota delle nuove infezioni che si verificano in soggetti positivi nei sessanta giorni precedenti all'ultimo test. Così il Belpaese mette nel cassetto il metodo Crisanti che ha fermato il virus a Vo' Euganeo

A oltre un anno dall’inizio della pandemia, l’Italia non si è ancora dotata di un sistema di monitoraggio delle reinfezioni, ovvero dell’insorgere del Covid nei pazienti già guariti. È quanto emerge da uno studio condotto dall’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, per “accertare le pratiche di sorveglianza messe in campo per documentare e segnalare i casi sospetti di reinfezione” da coronavirus. Oltre a non avere un sistema di monitoraggio, il Belpaese non ha ancora adottato una chiara definizione del concetto di reinfezione. Tra i diciassette sistemi sanitari degli altrettanti Paesi europei presi in esame nel documento, solo altri tre Stati si trovano nella stessa situazione dell’Italia:  Polonia, Lettonia e Finlandia. Una grave mancanza ai fini dello studio del virus e della prevenzione dei contagi.

Un problema sottovalutato

“Sebbene gli eventi di reinfezione siano rari, è probabile che siano sottostimati”, è avvertimento degli esperti dell’Ecdc. “Per accertare meglio l'impatto della reinfezione da SARS-CoV-2”, si legge ancora nel documento, “è necessario stabilire in tutta l'Ue protocolli di segnalazione e di sorveglianza standardizzati per i casi sospetti di reinfezione”. Ma prima ancora di uniformare le definizioni e i sistemi di monitoraggio in tutta Europa è necessario che i Paesi inizino a occuparsi del fenomeno delle infezioni di persone che sono già guarite. Per tale motivo, l’Ecdc propone una definizione semplice di soggetto reinfettato. Un caso sospetto di reinfezione da Covid-19 - si precisa nel documento - è definito come il soggetto positivo al test Pcr o al test rapido antigenico entro i 60 giorni dopo un precedente test positivo, che si tratti di un tampone Pcr, test rapido antigenico o sierologico.

Dimenticato il modello Vo'

Nonostante la mancanza in Italia di un sistema di monitoraggio dei casi di secondo contagio in soggetti che dovrebbero aver sviluppato gli anticorpi, gli esperti Ue sottolineano che il Belpaese è uno degli Stati che “hanno indicato di avere condotto studi o attività speciali pianificate sulla reinfezione” e di “aver pianificato studi sulla reinfezione in relazione a nuove varianti di virus”. Tra gli studi condotti in Italia sulla durata dell’immunità da Covid nei soggetti guariti, viene spesso citato il lavoro pubblicato sulla rivista Nature al quale ha collaborato il professore Andrea Crisanti, tra i fautori della strategia di contenimento della prima ondata in Veneto incentrata sui test di massa e sul monitoraggio periodico dei casi postitivi. Un’attività che ha consentito di tenere a bada il virus nel focolaio di Vo’ Euganeo. Peccato che da quell’esempio di contrasto e studio del virus non sia nato un coerente sistema nazionale di monitoraggio che tenesse conto anche dei soggetti guariti.

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