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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Il 'passaporto vaccinale' Ue non sarà un passaporto, e si rischia il caos tra le app dei diversi Stati

I Paesi membri assicurano che il Green Pass non sarà un documento di viaggio e non discriminerà chi non ha ricevuto le dosi. Resta da capire come far riconoscere i certificati digitali nelle diverse nazioni. E cosa permetteranno di fare rispetto a chi non ne è in possesso

Il Green Pass dell'Unione europea, il cosiddetto passaporto vaccinale, non sarà un passaporto vero e proprio. Lo hanno stabilito gli ambasciatori dei Paesi membri nel concordare ieri un mandato per i negoziati con il Parlamento europeo sulla proposta di un certificato verde digitale, pensato per facilitare la circolazione sicura e libera durante la pandemia in Europa ma anche al di fuori.

Il Green Pass

Il certificato servirà a fornire la prova che una persona sia stata vaccinata contro il Covid-19, o si sia sottoposto a un test recente con esito negatuvi o sia guarita dal coronavirus negli ultimi 6 mesi. La Grecia, che lo aveva proposto, aveva chiesto che grazie a questo pass si potessero consentire viaggi più agevoli (ossia con meno restrizioni all'arrivo) a chi ne è in possesso. Ma nel testo concordato dagli Stati Ue si dice espressamente che il Green Pass non è una precondizione per esercitare i diritti di libera circolazione e non è un documento di viaggio, nel rispetto del principio di non discriminazione, in particolare nei confronti delle persone non vaccinate che dovranno comunque poter viaggiare. Ogni Stato membro potrà decidere quali misure di precauzione attuare per chi è in possesso di un Green Pass e se renderle meno stringenti rispetto a chi non possiede il certificato. 

Protezione dei dati

Assodato che il certificato verde non è un passaporto, resta il nodo da sciogliere di come dati sanitari così sensibili saranno trattati. Le disposizioni sulla protezione dei dati e della privacy sono state rafforzate in tutto il testo del regolamento principale, in particolare sulla base del parere congiunto del Garante europeo della protezione dei dati, assicurano gli ambasciatori. E c'è chi, come l'eurodeputato dei Verdi europei, Piernicola Pedicini, chiede di applicare al passaporto vaccinale la tecnologia Zero Knowledge Proof (Zkp), un protocollo di crittografia avanzato utilizzato per creare sistemi distribuiti altamente sicuri e anonimi. "L'attuale situazione epidemiologica rimane motivo di grande preoccupazione", ha affermato Antonio Costa, il premier del Portogallo, il Paese che detiene il semestre di presidenza dell'Ue e che quindi farà da mediatore nelle trattative tra le capitali. Per Costa "quando si guarda al futuro, abbiamo bisogno di soluzioni che funzionino in tutti gli Stati membri", e questo è "molto importante per i nostri cittadini, per le nostre società e per la ripresa delle nostre economie”.

Estonia corre in avanti

Ma il rischio è che ci sia un caos nel riconoscimento dei Green Pass delle diverse nazioni, visto che i Paesi membri stano procedendo in maniera autonoma nello sviluppare le app che dovrebbero appunto fornire il certificato dell'avvenuta vaccinazione o test quando si viaggia. Estonia, da sempre all'avanguardia nelle tecnologie digitali, sta già sviluppando la propria applicazione con una versione pilota in uscita alla fine del mese. Ma questo significa che potrebbe non rispettare gli standard comuni che ancora devono essere concordati. E lo stesso potrebbe avvenire con le applicazioni di altre nazioni. Come spiega Politico il Green Pass dovrebbe mostrare un codice QR contenente una firma digitale emessa da un'autorità pubblica nazionale che certifichi la vaccinazione, un test negativo o il recupero.

Reciproco riconoscimento

I paesi europei dovranno avere i propri database nazionali sicuri con le firme e i dati sanitari, e ogni paese dovrebbe essere in grado di controllare la validità del codice emesso da un altro Stato. La cosa è più complicata di quanto si pensi e nonostante gli sforzi della Commissione per mantenere le cose il più coordinate possibile, molti governi non solo a livello comunitario, ma anche paesi terzi, come il Regno Unito, stanno già procedendo ognuno per la sua strada. Quindi dal modo in cui i dati sanitari saranno comunicati, organizzati, elaborati e archiviati, dipenderà il funzionamento delle app e il reciproco riconoscimento internazionale. Ma visto che i vari governi, come hanno dimostrato le app per il tracciamento dei contatti, usano tecnologie diverse e hanno tempi, risorse e livelli di digitalizzazione diversi nella loro amministrazione e assistenza sanitaria, non è scontato che tutto proceda liscio.

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