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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Paradisi fiscali Ue al sicuro per altri 2 anni: l’imposta comune sulle società slitta al 2023

La Commissione si rimangia l’impegno preso nel 2019 di “realizzare una base imponibile consolidata” per le imprese nell’Unione. Resta nel cassetto la proposta di dieci anni fa e viene rimpiazzata dall’agenda fiscale che rimanda il dossier

“La Commissione europea presenta oggi un regime comune per il calcolo della base imponibile delle società che operano nell’Ue”. Correva l’anno 2011, il presidente dell’esecutivo Ue era ancora il portoghese José Manuel Barroso, e la Commissione sembrava già pronta a introdurre la cosiddetta Ccctb, o base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società. Si trattava, in poche parole, di un tentativo di armonizzazione facoltativa delle imposte sulle società applicabili nei Paesi Ue. Uno strumento per evitare il dumping fiscale, ovvero la competizione al ribasso tra i 27 sistemi tributari europei che permette ancora oggi a multinazionali con enormi profitti in Europa di pagare le poche tasse richieste da alcuni Stati membri, che hanno regole comparabili a quelle dei paradisi fiscali. La Commissione oggi ha abbandonato definitivamente quella proposta per rimpiazzarla con una nuova “agenda fiscale a prova di futuro” che nell’immediato non fa altro che rinviare almeno al 2023 il progetto di un fisco europeo più giusto.

Dalla Ccctb alla Befit

Con il testo adottato oggi dalla Commissione europea la Ccctb viene “ritirata” per far posto alla Befit, acronimo di “Business in Europe: Framework for Income Taxation”. Si tratta di un progetto di ammodernamento delle regole fiscali europee che, come ha spiegato il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, “sono del secolo scorso” e vanno aggiornate “se vogliamo utilizzare il fisco per ridurre le frodi, l’evasione e l’elusione fiscale” e “per far pagare le tasse dove si realizzano i profitti da parte delle grandi imprese, non dove hanno le proprie sedi legali”. In terzo luogo, ha spiegato l’ex premier, si mira a “una tassazione minima per evitare una concorrenza sleale tra Paesi europei" e dunque "di danneggiarci l’uno con l’altro come sta accadendo”. 

Negoziato fermo da dieci anni

Toni e contenuti simili a quelli usati dal predecessore di Gentiloni, Pierre Moscovici, che nel 2016 aveva rilanciato la proposta del 2011 già ferma da cinque anni a causa del veto dei Paesi che si avvantaggiano di più dell’attuale competizione fiscale. “Dobbiamo proseguire la nostra lotta all'elusione fiscale, che sta producendo un cambiamento reale” diceva Moscovici, per poi invitate i ministri delle Finanze ad “esaminare con occhi nuovi questo pacchetto ambizioso e tempestivo perché creerà un sistema fiscale solido e adeguato per il ventunesimo secolo”. Nel frattempo, l’Europa è entrata nel terzo decennio del terzo millennio e all’orizzonte non si intravede ancora alcun accordo tra i ventisette Paesi. 

L'impegno dimenticato

Di qui la scelta della Commissione di Ursula von der Leyen di ripartire da zero, rinviando la partita al 2023. Una data entro la quale Palazzo Berlaymont si augura di aver raggiunto un accordo in sede di G20 e Ocse con i Paesi partner dell’Unione europea. La speranza è appesa alla recente proposta del presidente statunitense Joe Biden, che vorrebbe introdurre una global corporate tax al 21%. Un piano che ha trovato il plauso quasi unanime dell’altra sponda dell’Atlantico, anche se dal Regno Unito cominciano a emergere i primi dubbi. Al netto del dibattito internazionale, resta l’inversione a U della Commissione europea che solo due anni fa prometteva di rimettere mano al progetto di imposta comune sulle società proposta nel ‘lontano’ 2011. “Dovresti concentrarti - si legge nella lettera di incarico a Gentiloni firmata da von der Leyen - nel rendere i nostri sistemi fiscali più semplici, chiari e facili da usare. In questo contesto, dovreste guidare gli sforzi per far diventare realtà la base imponibile consolidata comune per le società” ovvero la Ccctb, oggi definitivamente affossata dalla stessa Commissione.

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