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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Redazione

L'Europa di cui abbiamo bisogno

L’Europa è centrale nello scacchiere delle relazioni internazionali. Che l’Unione europea intervenga per mitigare le conseguenze dannose della pandemia, affrontare la sfida del cambiamento climatico o definire le regole del commercio con il resto del mondo, l’impatto è globale. In letteratura si parla di ‘Brussels effect’: se il Giappone, la Cina, o gli Stati Uniti vogliono commerciare con la UE devono farlo agli standard di qualità decisi dall’Unione.

Muoversi verso più Europa non è una rivoluzione! Semplicemente, sarebbe un'applicazione corretta dello spirito originale dell'Unione europea, del principio di sussidiarietà: tutto quello che si può fare meglio a livello sovranazionale si dovrebbe decidere a livello di Unione e poi attuare nei singoli stati. Il sistema attuale è ancora più simile a una grande riunione di condominio che una sana famiglia: non sarebbe l’ora di fare un passo avanti verso la maturità? Laddove ci sono risorse e competenze, dialogare con l’Europa beneficia soprattutto il livello locale. Per esempio, i comuni italiani più virtuosi hanno applicato il Patto dei sindaci alla lettera e adesso risparmiano sui costi energetici.

Per quanto fastidiose, le restrizioni alla libertà dovute alla diffusione del coronavirus erano necessarie. Non esiste un conflitto tra salvare le vite proteggere la vitalità dell’economia. Mantenendo la priorità di limitare le morti, si potrà tornare a un'attività economica più dinamica non appena gli epidemiologi e i virologi daranno il via libera. 

Il danno economico tuttavia accentua disuguaglianze esistenti: di genere, equità generazionale o reddito. In questa pandemia le donne sono due volte vittime: sovrarappresentate in alcune professioni in prima linea, come quella infermieristica o l’insegnamento,ma oberate da carico di lavoro spropositati per via di una cultura sbagliata che vede ricadere sulle loro spalle una quota eccessiva della divisione del lavoro domestico.

Per i giovani, questa crisi è la terza in meno di vent’anni. Prendiamo un nato nel 2001: nemmeno viene al mondo e succede l'undici settembre, va in prima elementare e scoppia la crisi economica finanziaria, e arriva alla maturità con la pandemia. Questa generazione l’ho conosciuta confrontandomi con loro sull’azione europea per il cambiamento climatico. Ho incontrato studenti universitari che venivano a Bruxelles da Malta; Francia; Germania, Olanda e Stati Uniti. E ho anche visitato delle scuole superiori in Sicilia. Per chi ha meno di 25 anni la dimensione internazionale europea già la realtà. Spesso leggiamo critiche sull'azione UE con lo slogan “è l’Europa che ce lo chiede” - come se fosse un'invasione della sovranità nazionale. Ma ogni volta che parlo con chi ha meno venticinque anni o meno, loro mi fanno la domanda opposta: per esempio, perché l'Europa non intervenga maggiormente a protezione dell’ambiente. Cerco di di spiegare che l'Europa ha competenze limitate e gli studenti sollevano ogni volta l'assurdità dello status quo.

Infine, come ogni crisi, c'è il rischio che aumenti la distanza tra chi è povero e noi altri. Mi ero già’ espresso su queste pagine sul reddito minimo e trovo incoraggiante la proposta spagnola di un reddito minimo a tutti i cittadini europei.

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