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Sabato, 20 Aprile 2024
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Sui migranti afghani l'Europa chiede aiuto a Turchia, Iran e Pakistan

Macron annuncia un piano congiunto con la Germania: "Non ripetere quanto successo nel 2015"

In Afghanistan "18 milioni di persone" hanno bisogno di "assistenza umanitaria", secondo il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres. Basta solo questo dato per capire la portata della potenziale ondata migratoria che potrebbe provocare, e che già sta provocando, la riconquista del Paese da parte dei talebani dopo che Stati Uniti e altre forze militari occidentali, tra cui quella italiana, hanno lasciato Kabul e d'intorni. Un'ondata su cui in queste ore si stanno interrogando i governi Ue, preoccupati da una riedizione della crisi del 2015, alimentata dal conflitto in Siria. E oggi come allora, l'Europa è ancora divisa e senza una legge comune (o meglio, che accontenti tutti) per affrontare la nuova sfida. E oggi come allora, Bruxelles potrebbe trovarsi costretta a fare affidamento sulla Turchia di Recep Erdogan (e non solo)

Lo ha detto chiaramente il presidente francese Emmanuel Macron: "Dobbiamo anticipare e proteggerci dai grandi flussi migratori irregolari che metterebbero in pericolo coloro che li utilizzano e alimenterebbero traffici di ogni tipo", ha detto il capo dell'Eliseo, anticipando una imminente "iniziativa" congiunta con la Germania che, stando alle sue parole si concentrerà sulla "lotta contro i flussi irregolari, la solidarietà, l'armonizzazione dei criteri di protezione e l'istituzione di una cooperazione con i Paesi di transito e di accoglienza come Pakistan, Turchia o Iran", ha affermato Macron.

Il piano non è stato ancora ufficializzato, ma le dichiarazioni che arrivano dai leader tedeschi in queste ore fanno presagire che sarà questa la strada maestra anche per Berlino: solidarietà sì, ma per conto terzi. Lo ha fatto intendere la cancelliera Angela Merkel, che dopo aver calcolato in 10mila le persone da evacuare dall'Afghanistan in Germania (personale di supporto, attivisti per i diritti umani e altri a rischio che hanno lavorato in questi anni con Berlino), ha anche chiuso ad un allargamento delle maglie, indicando l'esigenza di trovare un "posto sicuro vicino all'Afghanistan" per chi fugge dai talebani. Una linea condivisa dal suo collega di partito, e candidato alla sua successione, Armin Laschet, ma anche da Olaf Scholz, leader dei socialdemocratici, anche lui in corsa per la cancelleria. 

Per entrambi, bisogna evitare quanto successo nel 2015, quando l'Europa si trovò impreparata dinanzi all'enorme ondata migratoria, provocata anche dalla guerra in Siria. Come noto, Italia e Grecia si trovarono a fare i conti con una pressione enorme di migranti e rifugiati, che solo in parte fu attenuata da un accordo di ripartizione dei richiedenti asilo. La Germania si fece carico del grosso della ripartizione, ma anche di ben 1 milione di siriani provenienti dalla rotta balcanica. Fatta prova di solidarietà, Angela Merkel convinse il resto dell'Ue a sottoscrivere un accordo con la Turchia: 6 miliardi di euro al governo di Recep Erdogan per occuparsi dell'accoglienza dei migranti in rotta verso l'Europa. Ed impedire loro di raggiungerla.

All'epoca, il piano di Merkel favorì l'ascesa della destra dell'Afd, che oggi come allora collegava quei flussi all'aumento del terrorismo in Germania e nel resto dell'Ue. In realtà, la mossa della cancelliera si è rivelata utile non solo sotto il profilo dell'immagine, ma anche sotto quello economico: degli 1,2 milioni di rifugiati accolti tra il 2015 e il 2016, la maggioranza lavora e ha occupato posti, anche qualificati, che il Paese faceva fatica a riempire. Merito anche del fatto che tra i siriani, in molti erano laureati o con qualifiche professionali di alto livello. Un fattore che stavolta non potrebbe giovare a favore degli afghani. 

Ecco perché, vista anche la grave crisi sanitaria ed economia che stiamo vivendo, Francia e Germania hanno stavolta pensato di bruciare le tappe rispetto al 2015, cercando subito la via di un'intesa con i Paesi di transito dei profughi afghani, ossia Pakistan, Turchia e Iran. "Non dovremmo inviare il segnale che la Germania possa accogliere tutti coloro che ne hanno bisogno. Il focus deve essere sugli aiuti umanitari in loco, a differenza del 2015”, ha detto senza troppi fronzoli Laschet. Del resto, i segnali arrivati dall'Ue nei giorni scorsi non sono stati all'insegna della solidarietà: nel pieno dell'avanzata dei talebani, la stessa Germania, insieme ad Olanda, Belgio, Austria, Danimarca e Grecia, aveva inviato una lettera alla Commissione europea indicando la necessità di continuare i rimpatri in Afghanistan dei migranti arrivati irregolarmente da quel Paese. 

Dinanzi alle immagini drammatiche provenienti da Kabul, Berlino e Amsterdam hanno fatto un passo indietro. Ma non l'Austria, che attraverso il giovane e rampante leader Sebastian Kurz (di centrodestra, ma al governo con i Verdi) ha insistito in questa ore sul fatto che intende continuare a deportare gli immigrati clandestini in Afghanistan anche se i talebani hanno preso il potere. Vienna, in altre parole, considera l'Afghanistan ancora un Paese sicuro. Una posizione che va non solo contro il diritto internazionale, ma anche quello europeo. Kurz lo sa bene, e non a caso propone anche un piano B: la creazione di centri nei Paesi vicini all'Afghanistan dove rispedire i richiedenti asilo. Una proposta non molto lontana dal piano preannunciato da Macron.

Tutto fa presagire, dunque, che a "salvare" un'altra volta gli equilibri politici interni all'Ue potrebbe essere Erdogan, il "dittatore di cui si ha bisogno" (per usare il termine usato dal premier Mario Draghi qualche tempo fa). E il cui Paese rappresenta, se non un prolungamento dell'Europa, di sicuro un alleato della sua fortezza. 

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