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Giovedì, 28 Marzo 2024
la proposta

Anche il Made in China finisce al bando col divieto Ue al lavoro forzato

Lo strumento Ue per vietare l’importazione di prodotti realizzati o trasportati con lo sfruttamento del lavoro forzato è stato presentato dopo l’importante discorso sullo stato dell’Unione, tenuto a Strasburgo dalla presidente della Commissione von der Leyen

L’attesa è finita. Lo strumento Ue per vietare l’importazione di prodotti realizzati o trasportati con lo sfruttamento del lavoro forzato è stato presentato dopo l’importante discorso sullo stato dell’Unione, che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha tenuto a Strasburgo il 14 settembre, davanti alla Plenaria dell’Europarlamento. La proposta del pacchetto di misure, che doveva essere discussa durante la riunione dei commissari Ue del 13 settembre, rispetta la promessa che von der Leyen aveva fatto già un anno fa. La numero uno della Commissione ha però deluso le aspettative di chi credeva che durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione avrebbe presentato pubblicamente il piano che vieta nel mercato dell’Ue i prodotti ottenuti con il lavoro forzato.

L’attacco alla Cina durante il discorso 

La numero uno della Commissione Ue non ha menzionato il provvedimento contro il lavoro forzato, ma ha tuttavia sferrato un attacco diretto alla Cina quando ha presentato il pacchetto Ue contro la disinformazione. Assicurando una blindatura del blocco dei 27 “alle autocrazie che attaccano le nostre democrazie dall'interno", von der Leyen ha ricordato come nel Vecchio continente siano stati individuati “soggetti stranieri che finanziano istituti che minano i nostri valori”, citando il caso di un’università dei Paesi Bassi. “Quest'anno l'università di Amsterdam ha chiuso un centro di ricerca che si dichiarava indipendente, ma che in realtà riceveva finanziamenti cinesi. Il centro pubblicava delle cosiddette ricerche sui diritti umani, in cui le prove dell'esistenza di campi di lavoro forzato per la popolazione uigura venivano liquidate come 'dicerie'. Queste menzogne sono tossiche per le nostre democrazie”, ha detto von der Leyen.

Bollando le attività straniere come “cavalli di Troia”, la presidente della Commissione ha ricordato agli eurodeputati quanto sia importante alzare le barricate contro le interferenza delle autocrazie. E lo ha fatto ricordando il caso dell’Vrije Universiteit di Amsterdam, la quarta università più grande dei Paesi Bassi, che ha restituito i finanziamenti dell’istituto universitario Cross Cultural Human Rights Center ottenuti dalla Southwest University of Political Science and Law di Chongqing, dopo che un’indagine dell'emittente pubblica olandese NOS ha messo in luce come i soldi siano stati utilizzati per una campagna di disinformazione atta a screditare le tesi e accuse occidentali contro la Cina.

Il colpo inferto alla Cina

Entro fine anno Europarlamento e Consiglio dovranno raggiungere l’intesa sul testo che vieterà i prodotti ottenuti con il lavoro forzato, per poi entrare in vigore nel 2025. Nel provvedimento non è fatta esplicita menzione dei Paesi che saranno colpiti, ma tutto fa pensare che il pacchetto di misure sia utile per punire la Cina, alla luce delle accuse di lavoro forzato e di violazioni di diritti umani nei confronti della comunità uigura della regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang. 

Già prima della pubblicazione del testo della Commissione, il gigante asiatico non aveva accolto positivamente l’iniziativa di Bruxelles, tanto da sottolineare sui media ufficiali le conseguenze economiche per il Vecchio continente e l’adesione alla mentalità di Washington. 

Cosa prevede la proposta

Le parole di condanna di Pechino non hanno scosso la Commissione Ue. Il pacchetto è di impianto globale: sono interessati tutti i generi di prodotti e non c’è una limitazione geografica. Bruxelles ha scelto una strada diversa da quella intrapresa da Washington, che lo scorso giugno ha posto un divieto per le importazioni provenienti dalla regione cinese a maggioranza musulmana. 

Bruxelles non prende di mira specifici paesi e colpisce merci prodotte all’interno o importate dall’esterno dell’Ue, realizzate da aziende ma anche da piccole e medie imprese. Il provvedimento si applicherà agli articoli per i quali è stato utilizzato il lavoro forzato in qualsiasi fase della loro produzione, fabbricazione, raccolta ed estrazione, compresa la lavorazione e il trasporto del prodotto finito. In più, la Ue impedirà di re-esportare i prodotti incriminati, cosa che non fa la legge Usa, che spinge molti articoli a essere immessi anche nel mercato europeo. 

Perché guardare anche allo Xinjiang per capire il rapporto tra Cina e Usa

La proposta si basa su definizioni e norme concordate a livello internazionale e sottolinea l'importanza di una stretta cooperazione con i partner globali, spiega l'esecutivo europeo in una nota. Le autorità nazionali degli Stati membri potranno quindi avvalersi di un potente strumento per combattere la schiavitù moderna. 

La Commissione ha definito anche il percorso a tappe per bloccare l’ingresso nell’Ue dei prodotti per i quali è stato utilizzato il lavoro forzato. Gli Stati membri dell'Ue saranno tenuti a designare le autorità competenti responsabili dell'attuazione e dell'applicazione del regolamento, con i poteri e le risorse necessarie. Il processo investigativo si svolgerà in due fasi. Un controllo potrebbe essere avviato dalle autorità doganali in caso di sospetti sulla provenienza del prodotto. Nella fase preliminare, le autorità valuteranno i rischi di lavoro forzato sulla base di molteplici fonti di informazione, come una banca dati europea, con indicazioni su prodotti e provenienze sospette, realizzato anche sulla base di segnalazioni sulla conformità dei prodotti condivise da altri Stati membri, nonché su osservazioni indipendenti, come quelle delle ong. Oltre alla banca dati europea, gli Stati membri potranno disporre di una nuova piattaforma, la Rete dei prodotti di lavoro forzato dell'Ue, per garantire un coordinamento e una cooperazione strutturati tra le autorità competenti e la Commissione.

Dagli elementi raccolti, partiranno delle inchieste che porteranno al ritiro dei prodotti già immessi sul mercato o al divieto di ingresso dei prodotti interessati, nonché la loro distruzione. Se le autorità non sono in grado di raccogliere tutti gli elementi di prova necessari, ad esempio a causa della mancanza di collaborazione da parte di una società o dell'autorità di uno Stato terzo, possono prendere la decisione sulla base dei dati disponibili. Bruxelles conta quindi sulla collaborazione anche delle aziende che, in ottica di trasparenza, vorranno certamente tutelare la loro immagine e credibilità agli occhi dei loro clienti.  

Uno strumento per aiutare oltre 27 milioni di persone 

Nel provvedimento, la Commissione prende quindi in esame l’ampio raggio della presenza di lavoro forzato nella catena produttiva. E lo fa basandosi sulla Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che definisce lavoro forzato “ogni lavoro o servizio che viene richiesto a qualsiasi persona sotto minaccia e per il quale la persona non si è offerta volontariamente”. Secondo i più recenti dati dell'ILO, circa 27,6 milioni di persone sono attualmente costrette a un lavoro forzato, tra cui l'86% è impiegato nell'economia privata e il 14% nel lavoro forzato imposto dallo Stato. I servizi, la produzione, l'edilizia, l'agricoltura e il lavoro domestico sono i principali settori in cui dilaga la schiavitù moderna.

Di fronte a questi numeri preoccupanti, Bruxelles ha ritenuto quindi necessario avanzare la proposta per porre un freno al lavoro forzato. "Questa proposta farà davvero la differenza nell'affrontare la schiavitù moderna, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Il nostro obiettivo è eliminare dal mercato dell'Ue tutti i prodotti realizzati con il lavoro forzato, indipendentemente dal luogo in cui sono stati fabbricati", ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Ue e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis.

Il percorso dell'applicazione del provvedimento potrebbe essere però irto di difficoltà: non tutti i paesi membri dell’Ue potrebbero essere in grado di introdurre e osservare le misure allo stesso modo. La proposta sembra riconoscerlo: "Lo sforzo di applicazione deve essere uniforme in tutta l'Unione. Se l'applicazione è meno rigorosa in alcune parti dell'UE, si creano aree deboli che possono minacciare l'interesse pubblico e creare condizioni commerciali sleali".

Come potrebbe rispondere la Cina

La proposta della Commissione potrebbe alimentare le ire di Pechino. Ci sono diversi precedenti che aiutano a immaginare le probabili reazioni della Cina. Quando l'anno scorso l'Ue ha sanzionato quattro funzionari cinesi coinvolti nella gestione dei campi di detenzione dello Xinjiang, il governo di Pechino ha immediatamente introdotto delle controsanzioni colpendo una serie di funzionari europei.

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Anche lo scorso giugno, quando l’Europarlamento ha approvato un rapporto non vincolante per vietare i prodotti frutto di lavoro forzato - esplicitamente per colpire lo Xinjiang - il ministero degli Esteri cinese ha accusato i parlamentari europei di “raccontare bugie”. La Cina ha tra le sue mani l’arma economica, e potrebbe essere pronta a usarla per colpire il mercato europeo.

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