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Giovedì, 25 Aprile 2024
Lavoro

La legge anti-Lgbt di Orban potrebbe costare 7 miliardi all'Ungheria

Budapest attende il via libera al suo Recovery plan, ma Bruxelles prende tempo. E annuncia una procedura d'infrazione

Per i liberali vicini al premier francese Emmanuel Macron, è quasi certo: la Commissione europea ha bloccato i 7 miliardi destinati all'Ungheria per il Recovery fund. Bruxelles, per ora, smentisce, ma ammette che l'esame del piano di Budapest sta prendendo del tempo in più. Ufficialmente per i meccanismi di trasparenza e lotta alla corruzione proposti dal governo di Viktor Orban a tutela dei fondi Ue, meccanismi che la Commissione sembra ritenere troppo poco incisivi. Ma sullo sfondo c'è senza dubbio l'ultimo round dell'ormai annoso braccio di ferro tra il leader ungherese e Bruxelles, ossia la legge anti-Lgbtq+.

La legge anti-Lgbtq+

La Commissione ha inviato una lettera a Budapest chiedendo di cambiare la normativa, nata per contrastare la pedofilia, ma che allo stato attuale prevede il divieto di "mettere a disposizione dei minori un contenuto che presenta qualsiasi rappresentazione della sessualità fine a se stessa, qualsiasi deviazione dall'identità corrispondente al proprio sesso assegnato alla nascita, cambio di sesso o promozione dell’omosessualità”. In altre parole, la legge ungherese vieta a ogni cittadino maggiorenne di presentare a un under-18 i temi legati all’amore diverso da quello tra un uomo e una donna. 

Questo passaggio, insieme ad altri (come quello che prevede che le lezioni di educazione sessuale possano essere tenute solo da organizzazioni registrate presso “un'agenzia statale definita dalla legge”) sono al centro delle attenzioni della Commissione: "Alcuni elementi (della legge ungherese, ndr) vanno a discriminare le persone per il loro orientamento sessuale e vanno contro i valori europei, valori sui quali non possiamo scendere a compromessi", ha detto
Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea.

Le minacce di Bruxelles

Ecco perché la presidente dell'esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, dopo aver definito la legge "vergognosa", ha minacciato Budapest di aprire una procedura d'infrazione: "Se l'Ungheria non aggiusterà il tiro, la Commissione utilizzerà i poteri a essa conferiti in qualità di garante dei Trattati", ha detto in un suo intervento in plenaria a Strasburgo. "Da inizio mandato abbiamo aperto circa quaranta procedure d'infrazione legate alla protezione dello stato di diritto. E se necessario apriremo altre procedure. Non possiamo rimanere a guardare", ha avvertito.

Cosa fare, dunque? Di sicuro, Bruxelles può avviare una procedura d'infrazione, ma i tempi per giungere a un sentenza definitiva sono lunghissimi. C'è poi il meccanismo messo a punto dall'Ue (e allegato all'accordo sul Recovery fund) che prevede lo stop ai fondi in presenza di violazioni accertate dello stato di diritto, ma per ora tale meccanismo è bloccato in sede di Tribunale Ue da un ricorso presentato da Ungheria e Polonia. Nonostante questo, la Commissione potrebbe utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per fare ostruzionismo sui fondi del Recovery per Budapest. Come rivelato dal commissario all'Economia Paolo Gentiloni, Bruxelles sta valutando il Pnrr ungherese su tre punti: "il meccanismo di audit, il trattamento equo e non discriminatorio dei beneficiari dei fondi, e le sfide delle raccomandazioni Ue sullo stato di diritto come corruzione, indipendenza della magistratura, aumento della concorrenza".

Gentiloni non cita i diritti civili, e una ragione c'è: difficilmente la Commissione europea potrà bloccare il Recovery di Orban sulla base della legge anti-Lgbtq+. Perché un conto è ritenere tale legge contraria allo stato di diritto, un altro è accertarlo ufficialmente: serve una procedura d'infrazione e un'eventuale sentenza della giustizia Ue a favore di questa tesi. E questo comporta tempi non in linea di certo con il piano per la ripresa. Più probabile, semmai, che Bruxelles richieda (e ottenga) altri cambiamenti al Recovery plan, magari meno visibili del ritiro della legge anti-Lgbtq+, ma più efficaci nel colpire l'apparato di potere che sostiene Orban.

Orban va in edicola

Budapest lo sa, ma per il momento fa la voce grossa: l'Ungheria "non ritirerà la legge, anzi, la difenderà con ogni mezzo legittimo", ha affermato la ministra della Giustizia, Judit Varga. Mentre Orban, prendendo spunto dall'etichetta di "nemico della libertà di stampa" affibbiatagli in questi giorni da Reporter senza frontiere, ha fatto visita a un'edicola a Budapest dicendo di essere alla ricerca "della libertà di stampa perduta". E chiedendo all'edicolante "che tipo di giornali critici o insultanti verso il governo ci sono e si possono acquistare". Un modo sarcastico di respingere le accuse di aver operato nei suoi anni al potere una progressiva opera di riduzione della pluralità dell'informazione ungherese. Come successo, di recente, con la revoca delle frequenze alla storica radio dell'opposizione di Budapest, KlubRadio. Anche in questo caso, la Commissione aveva criticato Orban attraverso canali ufficiali. Ma le pressioni, finora, sembrano essere servite a poco. 

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