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Venerdì, 29 Marzo 2024
Stipendi

Salario minimo: perché la direttiva Ue potrebbe aiutare i lavoratori italiani

Con la nuova legge europea, il nostro Paese dovrà fare i conti con i suoi stipendi da fame. In un modo o nell'altro

Con la direttiva Ue sul salario minimo, l'Italia dovrà fare i conti con i suoi livelli salariali. A prescindere se introdurrà o meno questa misura, i contratti di lavoro non potranno più essere al di sotto di una certa soglia di "dignità" per effetto dei parametri introdotti dal testo una volta che entrerà in vigore. Con benefici potenziali per almeno 2-3 milioni di lavoratori. È questo il traguardo più importante che la nuova normativa potrebbe apportare nel nostro Paese. Sempre che nel frattempo anche da noi si adotti un salario minimo. Ma andiamo per ordine e facciamo chiarezza.

Cosa prevede la direttiva Ue

Partiamo da un punto: la bozza del testo concordata da Stati membri e Parlamento Ue, non prevede l'obbligo di fissare il salario minimo. Non poteva essere altrimenti, del resto: il motivo è dettato dal Trattato di funzionamento dell'Unione europea, che all'articolo 135 vieta di fatto a Bruxelles di intervenire sulle retribuzioni imponendo "vincoli amministrativi, finanziari e giuridici". È a questo articolo che Svezia e Danimarca si sono appellate per fermare l'introduzione di obblighi: anche in questi Paesi non esiste il salario minimo, ma i sindacati difendono il sistema della contrattazione collettiva sostenendo che ha prodotto finora effetti positivi sui salari migliori di quelli promossi dalla direttiva Ue. 

In effetti, guardando ai dati riportati anche da un documento della Camera, nel 2019 i lavoratori svedesi e danesi se la passavano addirittura meglio di gran parte dei lavoratori di Paesi Ue dove il salario minimo esiste da tempo. La direttiva, infatti, prevede che laddove via sia il salario minimo legale, questo debba essere pari almeno al 60% del salario mediano lordo nazionale e al 50% del salario medio lordo nazionale (parametri Ocse riconosciuti a livello internazionale). Inoltre, il salario minimo deve essere al di sopra della soglia di dignità, valutata non sull’individuo ma sul nucleo familiare, in funzione del potere d’acquisto calcolato sull’accesso a un paniere di beni e servizi essenziali a prezzi reali, comprensivi di Iva, contributi di sicurezza sociale e servizi pubblici. In sostanza, si lega la fissazione del minimo da un lato alla media delle retribuzioni generali del Paese, e dall'altro al potere d'acquisto reale delle famiglie.

Contratti collettivi

In Svezia e Danimarca, nel 2019 le retribuzioni minime fissate dai vari accordi collettivi erano superiori o comunque vicine ai parametri previsti dalla direttiva. In Italia, invece, tali retribuzioni minime erano di poco superiori al 30% del salario mediano, lontani anni luce dal 60% proposto dall'Ue, e i più bassi tra gli Stati membri del blocco. Anche la stragrande maggioranza dei Paesi europei dove è già in vigore il salario minimo presentano livelli distanti dai parametri fissati dalla direttiva: per loro, scatterà l'obbligo di adeguarsi. E l'Italia?

Come dicevamo, senza una legge sul salario minimo, il nostro Paese non dovrà adeguarsi automaticamente a tali parametri. Ma dovrà farlo indirettamente. Il motivo va cercato in un altra novità del testo: l'introduzione dell'obbligo (questo sì vincolante) di raggiungere con la contrattazione collettiva almeno l'80% dei contratti di lavoro esistenti nel determinato Stato membro. L'Italia oggi presenta una quota di contratti collettivi sopra l'80%, ma si tratta di una percentuale che è valida solo sulla carta e che potrebbe venire messa in discussione dall'Ue. 

Il motivo va cercato nella forte presenza di contratti collettivi "pirata" e di contratti scaduti. I primi riguardano quei contratti siglati da associazione di categoria non riconosciute dal Cnel, che coprono circa 33mila lavoratori italiani. Al 31 dicembre 2021, dei 992 contratti collettivi depositati al Cnel, il Consiglio nazionale per l'economia e il lavoro, ben il 62% risultava scaduto, e quasi un quarto era scaduto da più di 5 anni. "Se l'Italia non introdurrà il salario minimo a livello generale, dovrà comunque far fronte ai contratti collettivi e al loro rinnovo, perché la Commissione non accetterà i contratti scaduti per calcolare la soglia dell'80%", spiegano dal Movimento 5 stelle, il partito italiano che più si è battuto al Parlamento europeo per promuovere la direttiva.

La soglia minima di dignità

Cosa succederà dunque ai contratti collettivi? "Con la direttiva, si fissa comunque una soglia di dignità minima che va rispettata anche dai minimi tabellari dei contratti collettivi. Attualmente significa portare buona parte di questi minimi sopra gli 8/9 euro lordi l'ora, quando ci sono casi in cui è la metà", dicono ancora i 5 stelle. A quel punto, il Paese dovrà capire cosa fare: seguire la strada tortuosa del rinnovo di centinaia di contratti di lavoro scaduti, o fissare un salario minimo generale per chiudere la partita in modo più rapido? 

"Per noi la strada da intraprendere è chiara - dice Daniela Rondinelli, eurodeputata di 5 stelle - Prima adottiamo un salario minimo, meglio è per tutti. Non farlo, significherebbe esporre il nostro Paese alle sanzioni europee e a un pericoloso conflitto con la Corte di giustizia europea. Contro l’emergenza sociale rappresentata dai salari da fame si risponde recependo alla lettera e a tempo di record la direttiva europea". Già, perché se l'introduzione del salario minimo non è vincolante, lo è invece l'applicazione della direttiva. Il cui risultato finale, come abbiamo spiegato, dovrà incidere per forza almeno sulla fissazione dei minimi tabellari, alzandoli oltre la soglia di dignità.

Infrazione e ricorsi

Non farlo, potrebbe esporre l'Italia a una procedura d'infrazione dell'Ue, ma anche a una pioggia di ricorsi da parte dei lavoratori. La direttiva prevede infatti l'obbligo per i Paesi membri di "garantire il diritto al ricorso per i lavoratori i cui diritti sono stati violati". Inoltre, il testo introduce "l'obbligo per i Paesi dell'Ue di istituire un sistema di applicazione, compresi monitoraggio, controlli e ispezioni sul campo affidabili, per garantire la conformità e affrontare i subappalti abusivi, il lavoro autonomo fittizio, gli straordinari non registrati o l'aumento dell'intensità di lavoro", scrive il Parlamento Ue.

ll nostro Paese, dunque, in un modo o nell'altro dovrà fare i conti con i suoi livelli salariali. Nelle sue ultime raccomandazioni economiche, la Commissione sottolineava come l'Italia sia l'unico Stato membro dove i salari reali (ossia parametrati sull'inflazione) rischino di diminuire nel 2022 e nel 2023 (dopo essere già calati nel 2021). Anche perché "diversi contratti salariali sono stati già rinnovati poco prima dell'inizio dell'impennata dei prezzi dell'energia a metà del 2021". 

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