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Venerdì, 29 Marzo 2024
Lavoro

Perché il reddito di cittadinanza non può andare solo agli italiani

Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio vorrebbe negare anche agli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese la misura più cara al M5s, a al suo elettorato. Ma la legge, anche quella europea, lo impedisce

Ancora la manovra è in alto mare, ma di una cosa è sicuro il ministro del Lavoro Luigi Di Maio: il reddito di cittadinanza, a prescindere se e come verrà confezionato, sarà solo  per gli italiani. “E' chiaro che è impossibile, con i flussi immigratori irregolari, non restringere la platea e assegnare il reddito di cittadinanza ai soli cittadini italiani”, ha detto in una intervista. Smentendo da un lato il ministro dell'Economia Giovanni Tria, che invece apriva agli stranieri, e facendo contento dall'altro lato il collega di governo Matteo Salvini. Peccato, pero', che il tentativo di escludere gli stranieri dalle prestazioni sociali nazionali sia stato già provato in passato, in Italia come nel resto dell'Ue. Senza esiti positivi per chi lo ha proposto. 

Cosa dicono le leggi

Già, perché a fermare amministratori locali e nazionali dal sovranismo del welfare ci sono le leggi europee. E nel caso del Belpaese, quelle italiane lasciano ancora meno spazi alle discriminazioni basate sulla cittadinanza. 

Basta leggere il dettagliato documento in materia dell'Asgi, che ricostruisce passo per passo leggi e sentenze che, di fatto, aprono agli stranieri d'Italia non solo le porte di misure come il reddito di cittadinanza, ma anche quelle di prestazioni sociali più mirate, come gli assegni ai nuclei famigliari numerosi o di maternità. Quasi sempre, occorre un permesso di soggiorno di lunga durata per accedervi. Ma varie sentenze della Corte costituzionale italiana, hanno allargato in alcuni casi il campo anche a richiedenti asilo e persino irregolari.

Il diritto europeo

Andando alla legge europea, tutto parte dall’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue a norma del quale “l’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali”. Se poi si vuole andare nello specifico, ci sono la direttiva 43 del 2000 e il Regolamento sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale (che risale al 2004): secondo tale ultimo testo, le misure come il reddito di cittadinanza si applicano “ai cittadini di uno Stato membro, agli apolidi e ai rifugiati residenti in uno Stato membro che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri, nonché ai loro familiari e superstiti”. L’art. 4, rubricato “parità di trattamento” prevede che “le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato” sancendo quindi il divieto di discriminazione nelle prestazioni sociali per il cittadino comunitario che si sposti da uno Stato all’altro, all’interno dell’Unione. 

Magari qualcuno potrà pensare che almeno i cittadini extra-Ue o non rifugiati possono essere esclusi: sbagliato. Un altro regolamento, infatti, allarga la platea degli assistiti potenziali anche a questa categoria, compresi i famigliari appena ricongiunti. 

Il caso tedesco

A confermare l'impostazione data dalla legge sono state, nel tempo, varie sentenze della Corte di giustizia dell'Ue, ma anche dei tribunali italiani. Certo, nelle more delle norme si puo' sempre annidare qualche scappatoia. Che sicuramente il ministro Di Maio sta valutando, data le perentorietà delle sue affermazioni. 

Per esempio, nel tentativo di ridurre il numero di potenziali richiedenti del reddito di cittadinanza, ci si potrebbe appellare alla deroga, contenuta in una direttiva del 2004, al principio generale della parità di trattamento di cui godono i cittadini dell’Unione che soggiornano nel territorio di un altro Stato membro. Essa, infatti, dispone che lo Stato ospitante non è tenuto ad assegnare il diritto a prestazioni di assistenza sociale ai disoccupati durante i primi tre mesi di soggiorno o nel lasso di tempo più lungo previsto per coloro che cercano attivamente un impiego.

E' quello che aveva fatto un ente pubblico di assistenza sociale di Norimberga, in Germania, per escludere due cittadini greci dai suoi assistiti: uno aveva chiesto un'integrazione al reddito per via del basso salario, un altro aveva ottenuto un'indennità di disoccupazione per coprire il periodo in cui cercava lavoro. Due casi che ricordano da vicino il reddito di cittadinanza 5 stelle. Le mo­tivazioni ad­dotte dall’ente tedesco si basavano essenzialmente sulla circostanza che la perdita dello status di lavoratori da parte dei ricorrenti e il superamento della durata massima del diritto di soggiorno consentissero l’annullamento del beneficio agli aiuti so­ciali.

Ebbene, dopo una non troppo lunga controversia legale, i due cittadini greci hanno avuto la meglio: la Corte di giustizia Ue ha dato loro ragione. 

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