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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Sei paesi Ue contro i tagli alla Pac. Confagricoltura: “L’Italia si unisca”

Nel prossimo bilancio settennale il rischio di una riduzione di quasi 3 miliardi per il nostro Paese. L’associazione lancia l’appello al governo Conte e al Parlamento europeo

Il bilancio della Politica agricola comune (Pac) resti ai livelli attuali anche dopo il 2020. E’ quanto chiedono in una dichiarazione congiunta i ministri di Francia, Grecia, Finlandia, Irlanda, Portogallo e Spagna in vista del Consiglio Ue Agricoltura del 18 giugno a Lussemburgo. “Il nostro auspicio è che l’Italia decida di unirsi all’iniziativa”, dice Confagricoltura.

“Le proposte per il futuro bilancio della Pac – spiega il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti - nonostante l’apprezzabile conferma degli incentivi per gli agricoltori più giovani, risultano inadeguate e carenti sotto il profilo del supporto alla crescita economica e dell’occupazione”. Secondo le stime del Parlamento europeo, la Pac rischia di vedersi tagliare 43 miliardi nel bilancio 2021-2027 rispetto al precedente settennato. Per l’Italia i tagli potrebbero sfiorare i 3 miliardi.

“La Commissione europea - ricorda la Confagricoltura - ha proposto di ridurre i trasferimenti finanziari alle aziende di maggiore dimensione. In pratica, alle strutture più orientate agli investimenti e alle innovazioni che sono necessarie per assicurare uno sviluppo sostenibile, anche in termini di competitività”.

“E’ una proposta sbagliata sotto il profilo strategico - ha evidenziato la giunta di Confagricoltura -. Chiederemo al nostro ministro e al Parlamento europeo di risolvere questo problema di impostazione. Inoltre, pur nell’ambito di una indispensabile semplificazione, la Pac deve restare una politica comune in termini di bilancio e gestione operativa”.

Un altro aspetto critico, segnala sempre Confagricoltura, è quello della cosiddetta “convergenza esterna” degli aiuti diretti della Pac. “Il divario degli importi erogati nei diversi Stati membri non può essere ridotto - dice Giansanti - perché è motivato dalla diversità dei costi di produzione fissi e variabili. Basti pensare, ad esempio, al costo del lavoro”.

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