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Giovedì, 25 Aprile 2024
Lavoro

La “Brexit” dei componenti preoccupa l'industria auto di Londra

Ogni veicolo assemblato nel Regno Unito contiene solo il 44% di pezzi made in Britain. Il resto proviene da paesi Ue. Per le regole dei trattati commerciali, dopo l'uscita dall'Unione, questo si tradurrà in dazi più alti sulle esportazioni. E gli investitori giapponesi potrebbero “emigrare”

Il grande “made in Britain” tanto esaltato dai promotori della Brexit in realtà non è poi cosi' grande. Almeno per quanto riguarda l'industria automobilistica. E il “copia e incolla” dei 759 trattati commerciali, che il Regno Unito ha sottoscritto in quanto membro Ue e che adesso deve “ritrattare”, non sarà cosi' semplice come sperato dalla premier Theresa May. I cavilli burocratici da superare sono tanti e in questi giorni uno in particolare sta arrovellando il governo britannico: quello delle componenti auto. 

Le regole d'origine

Già, perché diversi di questi trattati commerciali contengono una postilla importante per evitare il dumping (a danno dell'Ue o viceversa): ogni merce esportata deve contenere una determinata quota di “produzione locale”. Si chiama “regola di origine” e per le auto significa che ogni veicolo deve contenere almeno il 55% di componenti prodotti in patria (o nell'Ue nel caso degli Stati membri). Se la quota è inferiore, scattano dazi commerciali onerosi. 

Ed è qui che sta l'inghippo per Londra: stando ai dati ufficiali dell'Associazione dei costruttori e commercianti di motori britannici, i veicoli costruiti nel Regno Unito raggiungono in media solo il 44% di componenti “autoctoni”. Il resto proviene in buona parte dall'Ue. Finora, l'essere membro dell'Unione, ha permesso alle case automobilistiche di Sua Maestà di superare la quota necessaria. Ma con la Brexit, non sarà più cosi'. E dazi più alti rischiano di tradursi in una riduzione significativa dell'export, dato che in questo modo, per fare un esempio, a parità di gamma, un'auto tedesca o francese costerà in Canada o in Giappone meno di una britannica. 

Export e investimenti stranieri a rischio

Già, perché l'alternativa, ossia ridurre l'importazione di componenti prodotti in altri paesi Ue, si scontra con due limiti nell'immediato: mancano i produttori locali e comunque, anche producendoli in casa, questi componenti costeranno di più rispetto a quelli acquistati fuori casa. Inoltre, questo meccanismo rischia di provocare un effetto a catena sugli investimenti esteri, in particolare di quelli giapponesi, dato che finora grandi case come Honda e Nissan hanno utilizzato il Regno Unito come principale centro di produzione europeo. “Se non c'è redditività delle operazioni nel Regno Unito, nessuna compagnia privata può continuare le operazioni", ha avvertito l'ambasciatore giapponese Koji Tsuruoka

"Abbiamo un grosso problema"

“Abbiamo un grosso problema - ha dichiarato Peter Holmes, un membro dell'Osservatorio della politica commerciale del Regno Unito, al quotidiano Politico - Il governo sta lentamente cominciando a capire che non possiamo semplicemente duplicare questi accordi commerciali”.

A quanto pare, il problema non riguarda solo le case automobilistice ma anche altri settori delicati come quello aerospaziale. Cosa fare? La soluzione migliore sarebbe quella di trovare un accordo con l'Unione europea per il quale, in estrema sintesi, ogni componente prodotto nell'Ue varrebbe, nel commercio con paesi terzi, come fosse stato prodotto nel Regno Unito. Ma per fare cio', occorrerà rivedere ogni singolo trattato e superare le intricate matasse normative di ogni accordo. Un lavoro aggiuntivo enorme per Bruxelles. Che non è detto abbia intenzione di farlo, soprattutto in questi giorni di tensioni sull'asse negoziale con Londra. 

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