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Giovedì, 25 Aprile 2024
Allargamento

Come il fattore "Russia" complica i sogni europei di Ucraina, Georgia e Moldavia

I tre Paesi hanno chiesto di accelerare l'iter per la loro adesione all'Ue. Ma a bloccarli è (anche) l'aggressione del Cremlino

Anche Georgia e Moldavia hanno seguito l’esempio dell’Ucraina e hanno chiesto lo status di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione europea. È un messaggio politico forte e chiaro da parte di questi Stati che si sentono minacciati dalla Russia di Vladimir Putin e cercano di ancorarsi politicamente a Bruxelles. Ma il processo per ottenere la qualifica di Paese membro è complesso e articolato, e può protrarsi per anni. In questo contesto, le dichiarazioni rilasciate in questi giorni dalle istituzioni comunitarie potrebbero generare false speranze nelle popolazioni interessate. Attualmente sono 5 gli Stati ufficialmente candidati per entrare in Ue.

“Fateci entrare”

Martedì scorso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, in collegamento remoto con la plenaria straordinaria del Parlamento europeo, ha rinnovato la richiesta ai leader europei di adottare una procedura rapida per far entrare il suo Paese nell’Ue. Il giorno prima aveva inviato una lettera per ottenere la qualifica di Stato candidato, appello raccolto dall’Eurocamera che ha adottato una risoluzione non vincolante in cui ha chiesto ai governi nazionali e alla Commissione di accelerare per riconoscere Kyiv come Paese candidato.

Mercoledì anche la Georgia, un piccolo Stato caucasico confinante con la Russia, ha seguito le orme ucraine: il premier Irakli Garibashvili ha firmato una lettera analoga, definendo il momento “un giorno storico” per Tbilisi.

Giovedì è stato quindi il turno della Moldavia: Maia Sandu, presidente della piccola nazione incastonata tra la Romania e l’Ucraina, ha firmato la domanda d’adesione all’Ue. Durante la cerimonia, Sandu ha dichiarato che “ci sono voluti 30 anni perché la Moldavia raggiungesse la maturità, ma oggi il Paese è pronto ad assumersi la responsabilità del proprio futuro”. La mossa è giunta dopo la visita del capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, nella capitale moldava Chisinau. Borrell si è detto preoccupato per la sicurezza del Paese, citando “l’instabilità al confine” con l’Ucraina.

Un iter complesso

Tuttavia, nonostante le facili emozioni del momento, la realtà dei fatti è che il processo di adesione all’Ue non è né semplice né rapido, e non esistono al momento procedure “accelerate”. Il meccanismo è disciplinato dall’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea (Tue) ed è piuttosto articolato: prevede profonde riforme sociali, economiche e istituzionali per garantire il rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dell’economia di mercato (i cosiddetti criteri di Copenhagen), e subordina l’ingresso di nuovi membri all’approvazione unanime dei membri attuali.

Inoltre, acquisire lo status di candidato non implica automaticamente l’ingresso nell’Unione. Ad oggi ci sono 5 Paesi canditati: Turchia, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania. Ankara fece richiesta di adesione nel 1987, e ottenne lo status di candidato 12 anni dopo, rimanendo tale da allora. La più rapida a ottenere un riscontro è stata la Macedonia del Nord, a cui bastò un anno e mezzo circa per ottenere lo status di candidato, riconosciuto nel 2005. Ma dopo quasi 17 anni, il Paese è ancora fuori dall’Ue.

Sovranità territoriale

Un altro fondamentale ostacolo all’adesione del cosiddetto “Trio associato” consiste nel fatto che i suoi membri hanno perso il controllo di porzioni del proprio territorio – tutti e tre a vantaggio della Russia. Sono i conflitti congelati, con cui secondo molti analisti Putin intende destabilizzare il proprio vicinato per impedire, tra le altre cose, l’ingresso dei Paesi ex-sovietici nella Nato o, appunto, nell’Ue.

In Moldavia, il lembo di terra della Transnistria (lungo il confine con l’Ucraina) è di fatto autonomo dal 1990, quando i separatisti foraggiati da Mosca hanno avviato una secessione che non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Lì sono stazionate truppe russe e migliaia di tonnellate di munizioni. Gli osservatori temono che Putin voglia spingere le sue forze attualmente in Ucraina fino a collegare questo territorio con il Donbass, creando un corridoio che di fatto taglierebbe a Kyiv l’affaccio sul Mar Nero.

La Georgia, dal canto suo, ha perso il controllo delle regioni dell’Abcasia e dell’Ossezia del sud dopo la guerra con la Russia del 2008, anche se le vicende tra Tbilisi e i separatisti filo-russi risalgono al 1992.

Quanto all’Ucraina, infine, anche prima dell’aggressione russa non controllava interamente il proprio territorio: la Crimea è di fatto in mano alla Russia, che l’ha annessa unilateralmente nel 2014, mentre parte degli oblast’ di Donetsk e Lugansk era in mano ai ribelli separatisti. Ora, la situazione sul campo è in continuo peggioramento.

La parola alle cancellerie

Mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha detto che “l’Ucraina è una di noi e noi li vogliamo dentro”, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha frenato gli entusiasmi, sottolineando che l’allargamento è “un argomento difficile”, sul quale i Ventisette hanno “opinioni diverse”.

Come riporta il Guardian, infatti, il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente sostenuto che, dato il fallimento dell’Ue nel contrastare l’erosione dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria e nel coordinare la propria politica estera a causa dell’unanimità, non ci potrà essere alcun allargamento finché non saranno riformati i trattati.

I leader europei discuteranno anche di questi aspetti nel prossimo meeting informale previsto per la prossima settimana, e successivamente al summit del 24-25 marzo.

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