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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il rapporto

Perché è lo Stato a spingere i migranti in Italia (secondo gli 007)

La Relazione dell'intelligence non attribuisce solo alle navi ong il cosiddetto "pull factor". E lascia in secondo piano i fattori di spinta. Cosa non quadra nelle dichiarazioni del governo

La presenza in mare di navi delle ong rappresenta "un vantaggio logistico per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, permettendo loro di adeguare il modus operandi in funzione della possibilità di ridurre la qualità delle imbarcazioni utilizzate, aumentando correlativamente i profitti illeciti, ma esponendo a più concreto rischio di naufragio le persone imbarcate". È con queste parole che per la prima volta l'intelligence italiana attribuisce alle organizzazioni umanitarie impegnate nella ricerca e nel soccorso dei barconi di migranti il cosiddetto "pull factor", un fattore di attrazione che, secondo tale teoria, provocherebbe un aumento delle partenze e delle tragedie. "È un fatto oggettivo: la presenza delle navi ong aumenta la probabilità di incidenti, rovesciamenti e morti in mare", ha aggiunto il sottosegretario Alfredo Mantovano per essere più chiari, nelle stesse ore in cui il governo e l'agenzia Ue Frontex si rimbalzavano le responsabilità per presunti mancati soccorsi al barcone affondato al largo di Cutro, in Calabria. Ma cosa dice davvero il rapporto degli 007 italiani?  

"C'è un aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi ong, principalmente in area Sar libica", si legge nella Relazione 2022 dell'intelligence. Queste attività "vengono spesso pubblicizzate sui social network dai facilitatori dell'immigrazione irregolare quale garanzia di maggiore sicurezza del viaggio verso l'Europa", aggiungono. Che questo corrisponda a realtà, è difficile da negare: da sempre i trafficanti cercano tutti gli appigli possibili per sponsorizzare come sicuri i propri viaggi della speranza. Prima dell'arrivo delle ong, per esempio, era la sicurezza di trovare il pronto soccorso delle navi della Guardia costiera italiana a essere citata dai trafficanti quale assicurazione per la buona riuscita per la traversata. Ma un conto sono gli stratagemmi dei criminali per imbonire i clienti, un altro l'effettivo peso di questi stratagemmi sul numero di uomini, donne e bambini che di anno in anno tenta la via più rischiosa per raggiungere l'Europa.

Guardando ai dati della relazione degli 007, del resto, saltano agli occhi una serie di dati che sembrano contraddire le conclusioni sulle ong e il loro presunto "pull factor".  Innanzitutto, le attività di ricerca e soccorso: nel 2022, secondo quanto riporta il rapporto, ci sono stati poco più di 57mila persone soccorse in mare mentre cercavano di raggiungere illegalmente le coste italiane. Di queste, "solo" 11.892 sono state salvate dalle navi delle organizzazione umanitarie. Il resto, 45.136, sono state soccorse dalle cosiddette missioni Sar istituzionali, ossia dalle navi di Marina militare e Guardia costiera. A leggere queste cifre, viene da pensare che se il "pull factor" esiste, il primo a fomentarlo sia proprio lo Stato. 

Detto in altri termini, se il legame navi ong-partenze si basa sul fatto che la presenza di queste organizzazioni favorisce la propaganda (e i conseguenti affari) dei trafficanti, allora lo Stato dovrebbe sospendere le sue attività di soccorso, andando contro al diritto internazionale, tra l'altro. In effetti, a leggere meglio il rapporto dell'intelligence italiana, quando si parla di fattori di spinta non si fa differenza tra navi ong e navi istituzionali. Il "pull factor", dunque, è di entrambe le strutture di soccorso. Anzi, il rapporto indica chiaramente che "nel corso del 2022 l’incremento più significativo dell’attività di soccorso in mare" ha "riguardato le operazioni del Dispositivo istituzionale (ad esempio Frontex, Guardia Costiera, Guardia di Finanza)".   

Lo studio 

Chiarito questo, volendo fare le pulci al metodo di analisi degli 007, non si può non notare come la loro relazione non citi altre evidenze a supporto della tesi del pull factor. Utile sarebbe stato, per esempio, consultare la letteratura scientifica (molto scarna a dirla tutta) sui fenomeni migratori, che da tempo hanno smentito tale tipo di fattore. Uno degli studi più documentati è per esempio quello pubblicato da due ricercatori italiani, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, che hanno analizzato i dati delle partenze sulla rotta del Mediterraneo centrale tra il 2014 e il 2018. Il 2015, per esempio, è stato senza dubbio l'anno in cui l'attivismo delle ong umanitarie ha cominciato a guadagnarsi gli onori delle cronache: complice la grave crisi siriana, i salvataggi delle ong passarono dallo 0,8 per cento del 2014 al 13 per cento. Questo comportò un aumento delle partenze? Assolutamente no. Anzi, ci fu un calo. Altro dato: prima del boom di navi ong "quasi 8 migranti su 10 venivano già caricati su gommoni, non barche grandi". Nel 2017, poi, quando le navi delle ong divennero le principali responsabili dei salvataggi nel Mediterraneo, il numero di migranti partiti dalla Libia diminuì drasticamente. Come mai?

Secondo Villa e Cusumano, un ruolo lo svolse l'accordo siglato tra il governo italiano e quello libico per fermare le partenze. L'accordo, però, con il tempo non ha retto, e i trafficanti hanno ricominciato a fare lauti affari (pare anche perché alcuni di loro erano presenti nei vertici della guardia costiera di Tripoli). Quando nel 2018, l'allora ministro degli Interni Matteo Salvini iniziò la sua stretta sulle ong (bloccando anche l'operazione Ue Sophia), i morti rispetto all'anno precedente sono aumentati del 19%. E questo nonostante il calo dichiarato delle partenze. Dato che smentirebbe anche l'equazione più partenze uguale più morti.

Villa ha proseguito le ricerche anche negli anni successivi: tra gennaio 2019 e metà febbraio 2020, scrive su Ispi, "abbiamo scoperto che le attività di soccorso delle ong non hanno aumentato le partenze dei migranti dalla Libia, che sono rimaste quasi esattamente identiche a quando nessuna nave era presente nell'area. Le partenze sembravano essere influenzate dalle condizioni meteorologiche – con temperature in aumento che lentamente aumentavano le partenze e forti venti che le diminuivano drasticamente – e dalle condizioni politiche in Libia, non dall'arrivo delle navi di soccorso". E qui arriviamo a un altro elemento sottolineato da diversi esperti di migrazione: i "push factor", i fattori di spinta. 

I push factor

"Le persone continuano a partire dalla Libia perché la situazione è così instabile, le violenze sono così forti che decidono di farlo a prescindere dalla presenza o meno di salvataggi in mare", ha detto qualche giorno fa l'Oim, l'organizzazione internazionale sulle migrazioni dell'Onu, che è operativa proprio in Libia. Detto altrimenti, se le persone decidono di mettere a rischio la loro vita, le ragioni andrebbero cercate più là inizia il loro viaggio, invece che nell'ultimo miglio del loro percorso. È strano, in tal senso, che nella relazione dell'intelligence non si insista più di tanto sui fattori di spinta: "Le attuali aree di crisi umanitaria e di instabilità socio-politica continuano a spingere un notevole numero di persone a emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita", si legge in un breve passaggio.

Eppure, basta scorrere il documento per vedere come nel 2022 siano aumentati notevolmente i fattori di crisi nelle aree di provenienza dei migranti: c'è l'insicurezza alimentare alimentata anche dal conflitto in Ucraina, c'è l'estensione dei movimenti terroristi nei Paesi africani a sud di Marocco, Libia e Tunisia, ossia le porte dei trafficanti del Maghreb verso Spagna e Italia. Tutte cause che difficilmente si possono risolvere dall'oggi al domani. Le partenze continueranno, ci ha insegnato la storia recente. E forse non sarà una nave umanitaria in meno in mare a fermarle o a ridurle.   

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