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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Polexit: hanno ragione i giudici polacchi? Come stanno le cose (e il "precedente" italiano)

Nel 1964, un avvocato si rifiutò di pagare una bolletta all'Enel. Oggi la Corte di Varsavia apre all'uscita della Polonia dall'Ue. Il legame tra le due vicende

Viene prima la sovranità nazionale o quella europea? Nel sempre più accesso braccio di ferro politico e legale tra la Polonia e la Commissione europea, la recente sentenza della Corte suprema di Varsavia, secondo cui il diritto polacco, almeno quando si parla di giustizia, prevarrebbe su quello comunitario, apre una questione che va al di là del pur importante rischio di una Polexit. E riguarda più in generale le basi dell'integrazione Ue. Chi ha ragione? I giudici costituzionali polacchi o la Corte di giustizia dell'Unione europea, che invece sostengono il primato del diritto europeo?

L'origine della querelle

Partiamo dalla posizione della Polonia, o meglio della Corte suprema di Varsavia. Tutto nasce da due sentenze della Corte Ue che hanno di fatto smontato la riforma della giustizia varata dal governo del premier Mateusz Morawiecki e dal PiS, partito di destra che al Parlamento europeo guida il gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr), la vecchia "casa" politica dei Tory britannici pro-Brexit, insieme a Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

Secondo i giudici di Lussemburgo, sede della Corte Ue, la riforma polacca introduce un nuovo organo disciplinare che è incompatibile con le norme europee sullo stato di diritto. Il nuovo organo ha il potere di sanzionare, destituire o trasferire contro la sua volontà qualsiasi giudice del Paese. E la nomina dei suoi componenti, con la riforma, è largamente in mano al potere politico. Questo aspetto, per i giudici di Lussemburgo, viola l'indipendenza della magistratura, poiché darebbe alla maggioranza che guida il Paese larghi poteri non solo sulla nomina dei giudici, ma anche sulle valutazioni delle loro sentenze. Per questo, a metà luglio, la Corte Ue ha chiesto alla Polonia di sospendere la riforma, cosa che Varsavia non ha fatto. 

Il primato nazionale

Ma il premier Morawiecki è andato anche oltre, presentando un ricorso alla Corte suprema affinché si pronunciasse in merito agli "ampi e ragionevoli dubbi" sulla prevalenza del diritto comunitario sulla Costituzione polacca. La sentenza dei giudici costituzionali polacchi non solo ha risposto al quesito, ma ha anche 'suggerito' una possibile uscita della Polonia dall'Ue. In caso di "conflitto insanabile" tra il diritto dell'Unione europea e la Costituzione polacca, si legge nella sentenza "sono possibili le seguenti conseguenze: modifica della Costituzione, modifica della legge europea o uscita dall'Unione europea". 

A originare il conflitto "insanabile" non è l'intero impianto normativo europeo, ma semmai quello specifico in materia di giustizia. Detta in altri termini, Varsavia non rifiuta del tutto la supremazia del diritto comunitario in alcuni campi, per esempio le norme ambientali, ma solo il primato Ue sulla giustizia nazionale. E neppura su tutta la materia giudiziaria, ma su un preciso e specifico aspetto: "Il tentativo di interferire nell'ordinamento giudiziario polacco da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea - si legge sempre nella sentenza - viola i principi dello stato di diritto, il principio di supremazia della Costituzione e il principio di conservazione della sovranità nel processo di integrazione europea", in quanto, nel firmare il Trattato di adesione all'Ue, avvenuta nel 2004, la Polonia non ha delegato il potere di amministrare il suo sistema giudiziario a Bruxelles: la Corte europea "ha la competenza per pronunciarsi sul sistema giudiziario polacco" ma non sulla sua "organizzazione". Pertanto "la Ue non ha competenze per valutare la giustizia polacca e il suo funzionamento", ossia, in ultima analisi, il nuovo organo disciplinare.  

Il precedente del caso Costa contro Enel

La querelle tra giudici polacchi ed europei si gioca di fioretto, come si vede. Ma c'è una vecchia sentenza che sembra dare torto alla Corte suprema di Varsavia. La 'colpa' è di un avvocato italiano, tale Flamino Costa, che nel 1964 si rifiutò di pagare una bolletta della luce da 1.925 lire per protesta contro la nazionalizzazione del settore elettrico italiano, che aveva avuto ripercussioni negative sulle sue azioni nell'Enel. Secondo Costa, la nazionalizzazione era contraria ai Trattati di Roma, che istituirono la Comunità economica europea, e pertanto la legge andava rivista. Di diverso avviso la Consulta italiana, secondo cui, poiché la legge sulla nazionalizzazione era stata varata prima della firma dei Trattati, il diritto nazionale prevaleva su quello comunitario.

La lite finì sui tavoli della Corte dell'allora Comunità europea ("genitore" dell'attuale Corte Ue). E i giudici europei diedero ragione a Costa su un aspetto: per quanto i Trattati di Roma siano arrivati dopo la legge sulla nazionalizzazione del settore energetico, il diritto comunitario viene prima di quello nazionale. Sempre. "Il primato del diritto europeo sui diritti nazionali è assoluto - si legge sul sito Eur-Lex - Pertanto, ne beneficiano tutti gli atti europei di carattere vincolante, di diritto sia primario che derivato. Tale principio vale inoltre nei confronti di qualsiasi atto normativo nazionale di qualsiasi natura (legge, regolamento, decreto, ordinanza, circolare, ecc.) che sia stato emesso dal potere esecutivo o legislativo dello Stato membro. Anche il potere giudiziario soggiace al principio del primato. Il diritto da esso prodotto, ossia la giurisprudenza, deve pertanto rispettare il diritto comunitario". La Corte di giustizia europea, continua il testo, "ha stabilito che anche le costituzioni nazionali sono soggette al principio del primato".

Dunque, tornando alla vicenda polacca, la sentenza del caso Costa sembra dare dorto ai giudici costituzionali di Varsavia. Con buona pace di una di loro, Krystyna Pawłowicz, nominata dal PiS, la quale, durante l'udienza, si è riferita al diritto comunitario parlando di "regolamenti stranieri".

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