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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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"La plastica biodegradabile si ricicla, vietarne l'uso non aiuta l'ambiente"

A poche settimane dall'entrata in vigore della direttiva europea Single Use Plastic, che metterà al bando piatti, bicchieri e altri oggetti monouso prodotti con questo materiale, l'Italia chiede a Bruxelles di modificare la legge. Il presidente di Assobioplastiche ci spiega la posizione di un comparto da 3mila addetti

Sono sempre più comuni sugli scaffali del supermercato: ovunque ci sono piatti o bicchieri da pic-nic che possiamo riciclare con i rifiuti organici, ma anche i bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie o alcuni imballaggi. Il nome tecnico è bioplastiche biodegradabili e compostabili. E anche loro sono finite nell'elenco dei materiale che dal 3 luglio potrebbero venire messi al bando dalla direttiva Ue Single Use Plastic (SUP). Una decisione che Marco Versari, presidente della lobby italiana del settore, Assobioplastiche, contesta: “Non condividiamo questa direttiva, né nella forma né nella sostanza, e non la condivide nemmeno il sistema Italia”, dice.

Ma andiamo per ordine. La direttiva, proposta dalla Commissione Ue, emendata dal Parlamento europeo, e infine varata nel 2019 da tutti gli Stati membri (Italia compresa), prevede la messa a bando di una serie di prodotti monouso a base di plastica, considerati tra i più novici per l'ecosistema marino e in generale per l'ambiente. Quali sono i prodotti in plastica monouso che non troveremo più sugli scaffali dei negozi? L’articolo della normativa che risponde a questa domanda è il 5, che impone delle restrizioni all’immissione sul mercato di bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, aste per palloncini, contenitori per alimenti e tazze per bevande con relativi tappi e coperchi. In quanto al tipo di plastica considerata dal divieto, la direttiva comprende sia gli articoli in gomma a base polimerica che la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che derivino da biomassa o siano destinati a degradarsi nel tempo. Ed è qui che scatta la protesta di Assobioplastiche, che tiene a sottolineare la peculiarità dei prodotti delle sue aziende.

"La bioplastica è un materiale, derivato da fonti rinnovabili o di origine fossile, che ha la caratteristica di essere biodegradabile e compostabile in conformità allo standard europeo armonizzato EN 13432 e/o EN 14995 - dice la lobby del comparto, che dà lavoro a 3mila persone in tutta Italia - I manufatti in bioplastica a fine vita sono raccolti con i rifiuti organici umidi e quindi trattati per il loro riciclo organico così che al termine del processo di compostaggio siano in grado di contribuire alla creazione di compost, un fertilizzante con cui combattere la desertificazione e l’erosione dei suoli. Si comportano in buona sostanza come una buccia di mela o di cocomero che alla fine si trasforma in fertilizzante per il terreno".

All’Europa, prosegue la lobby, "tali bioplastiche compostabili non piacciono perché anch’esse appartengono formalmente alla famiglia delle plastiche (sono anch’esse polimeri) pur avendo un fine vita totalmente diverso. L’Europa guarda al nome, alla classificazione e non, invece, alla sostanza, ossia al fatto che esse finiscono per diventare un fertilizzante per il terreno". L’associazione, fondata nel 2011, rivendica come in questi anni il comparto, con ingenti investimenti privati, abbia sviluppato tecniche e professionalità che hanno reso l’Italia uno dei leader del settore delle plastiche compostabili.

Il nostro Paese, dice il presidente Versari, "ha una storia molto lunga di raccolta di materiali biodegradabili e compostabili, tra l’altro figlia di una normativa europea, la 94/62, che aveva previsto in modo quasi visionario l’uso dei materiali biologici. L’Italia su questo ha costruito un’industria e un sistema efficiente di raccolta della frazione organica. In Europa il riciclo dell’umido – che rappresenta il 40% del totale dei nostri rifiuti – sarà obbligatorio solo dal 1 gennaio 2024".

Versari, però noi stiamo parlando di plastica biodegradabile, non di materiale biologico.
Il nostro Paese ha una storia molto lunga di raccolta di materiali biodegradabili e compostabili, tra l’altro figlia di una normativa europea, la 94/62, che aveva previsto in modo quasi visionario l’uso dei materiali biologici. L’Italia su questo ha costruito un’industria e un sistema efficiente di raccolta della frazione organica. In Europa il riciclo dell’umido – che rappresenta il 40% del totale dei nostri rifiuti – sarà obbligatorio solo dal 1 gennaio 2024.

E come si risolve il problema della possibile dispersione nell’ambiente?
Nessuno ha mai pensato di sviluppare un’intera industria di materiali compostabili perché questi si potessero gettare nell’ambiente usando il biodegradabile come una scusa. Ed è quello che contesto alla SUP: piuttosto che fare tutto il possibile per riciclare la plastica o per contrastare l’abbandono illegale mette al bando in modo arbitrario alcune categorie di materiali. Invece di punire il cittadino che getta a terra il mozzicone o invece di mettere posacenere sui cestini, rendiamo biodegradabili i filtri di sigaretta. A me non sembra un approccio serio.

E quindi lei che soluzioni vede?
Bisogna incentivare l’uso di plastiche riciclate o da fonti rinnovabili che hanno derivati organici e, quando a contatto con alimenti o scarti di alimenti, compostabili. Spingere per una raccolta differenziata vera e in tutta Europa, con campagne informative e partecipazione del cittadino. Punire chi non raggiunge gli obiettivi, sia a livello di Stati membri che di comportamenti individuali.

Esistono alternative ai prodotti di plastica?
Io penso che si debba fare una normativa chiara sui design dei materiali, che devono essere smontabili, riparabili, riutilizzabili e anche compostabili. Queste applicazioni devono essere coerenti con la raccolta dell’umido: si fanno piatti biodegradabili, ma non paraurti o carte di credito. E poi lavoriamo perché questi materiali siano raccolti correttamente e non abbandonati.

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