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Sabato, 20 Aprile 2024
Fact check / Ucraina

Perché l'Ucraina non è ancora un Paese dell'Ue (e non lo sarà a breve)

Il Parlamento europeo chiede che Kiev abbia lo status di candidato all'ingresso nel blocco. Ma un suo report del 2020 spiegava i rischi dell'allargamento

La firma della richiesta di adesione all'Unione europea da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la risoluzione del Parlamento europeo in cui si chiede a Commissione e governi nazionali di "promuovere" Kiev allo status di Paese candidato all'ingresso nel blocco, hanno sicuramente un forte valore simbolico. Ma perché il sogno dell'Ucraina di diventare il 28esimo Stato membro dell'Unione diventi realtà, di strada da fare ce n'è tanta. E richiederà molto probabilmente diversi anni. 

Le ragioni sono diverse. Innanzitutto, c'è una questione strettamente burocratica: l'Ucraina a oggi ha siglato un accordo di stabilizzazione e associazione con l'Ue, che rappresenta il primo passo per i Paesi che vogliono entrare a far parte del blocco, e che è partito ufficialmente nel 2017 dopo quasi dieci anni di vicissitudini e contrasti interni tra il fronte pro-Ue e quello pro-Russia. Le proteste di Euromaidan del 2014, che portarono al conflitto con Mosca e all'occupazione della Crimea, accelerarono la stipula dell'accordo, vincendo sia le riserve interne alla politica ucraina, ma anche quelle interne all'Ue. Già, perché non tutti gli Stati membri erano (e sono) d'accordo su un allargamento a Est troppo rapido dell'Unione. Non a caso, l'accordo di associazione richiese tre anni per la ratifica.    

Lo status di candidato

Il passo successivo per l'ingresso nel blocco è il riconoscimento da parte di tutti i 27 Paesi membri dello status di Paese candidato. È quello che hanno chiesto il Parlamento europeo e il governo di Kiev in questi giorni, ma perché si arrivi a tale seconda fase servono una serie di negoziati e passaggi formali dall'esito incerto, soprattutto nei tempi. A oggi ci sono 5 Paesi canditati: Turchia, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania. Ankara fece richiesta di adesione nel 1987, e ottenne lo status di candidato 12 anni dopo, e da allora è rimasta tale. La più rapida a ottenere un riscontro è stata la Macedonia del Nord, a cui bastò un anno e mezzo circa per ottenero lo status di candidato nel 2005. Ma dopo quasi 17 anni, il Paese è ancora fuori dall'Ue. 

Già, perché lo status di candidato non vuol dire ingresso rapido nel blocco. La procedura prevede che lo Stato richiedente si impegni e metta in atto tutta una serie di riforme istituzionali, economiche e sociali, oltre che regoli i suoi rapporti internazionali in linea con i criteri di Copenaghen fissati dall'Ue per chiunque voglia far parte del suo club (ossia istituzioni democratiche stabili, un'economia di mercato affidabile  e il raggiungimento del cosiddetto acquis comunitario, il complesso di diritti e obblighi che devono condividere tutti i Paesi Ue). La Turchia, in oltre 20 anni, è a metà del cammino per ottenere l'acquis, la Serbia anche, dopo quasi 10 anni dall'ottenimento dello status di candidato. 

Ma perché l'Ucraina non ha ancora questo status? E anche se dovesse ottenerlo in tempi rapidi, cosa le mancherebbe per raggiungere l'acquis comunitario? A rispondere a queste domande è lo stesso Parlamento europeo, che ogni anno elabora e vota un report di implementazione sui Paesi che vogliono aderire all'Ue. Tra questi, c'è anche l'Ucraina. Nel report del 2020, proprio Strasburgo, che oggi chiede un'accelerazione ai governi Ue per portare Kiev nel club, sottolineava come l'Ucraina scontasse ancora gravi carenze sotto il profilo dello Stato di diritto, dei sistemi anticorruzione, ma anche del rispetto dei diritti umani.

La corruzione

Per esempio, il Parlamento Ue fa notare come le elezioni del 2019 che hanno portato al potere Zelensky non siano state il massimo di trasparenza e correttezza, secondo diversi esponenti della società civile ed esperti elettorali (non solo filorussi). Sebbene l'Ucraina abbia compiuto progressi sostanziali nell'attuazione degli impegni con l'Unione, si legge nel report, "molte delle riforme avviate devono essere completate, in particolare nei settori dello Stato di diritto, della buona governance e della lotta alla corruzione, dal momento che, nonostante i notevoli progressi, la corruzione diffusa continua a ostacolare il processo di riforma dell'Ucraina".

La questione della corruzione è centrale. Il Parlamento, nel suo report, aveva espresso "preoccupazione per l'esito della sentenza della Corte costituzionale del 27 ottobre 2020, che ha creato un vuoto giuridico nell'architettura anticorruzione ucraina e ha gravemente indebolito l'Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione", e invitava "fermamente le autorità ucraine ad astenersi dalla loro precedente cattiva prassi di perseguire cause giudiziarie di matrice politica; sottolinea, a tale proposito, che le divergenze sulle questioni politiche dovrebbero essere affrontate nelle sedi politiche competenti piuttosto che nella sfera giudiziaria". 

Gli oligarchi

Il problema della corruzione è strettamente legato anche alle preoccupazioni dell'Ue sulla classe dirigente ucraina e sullo strapotere di alcune lobby, o meglio di alcuni oligarchi, sull'economia del Paese e sulla sua gestione. Lo stesso Zelensky è stato oggetto di critiche internazionali per i suoi rapporti con l'oligarca Igor Kolomoisky, che avrebbe finanziato la sua campagna presidenziale. Il Parlamento europeo, nel report del 2020, deplorava "l'aumento di imprese statali ed esorta l'Ucraina a portare avanti ulteriormente la privatizzazione delle imprese statali al fine di modernizzare e migliorare il funzionamento dell'economia ed evitare l'oligarchizzazione; sottolinea la necessità di un rinnovato impegno da parte dell'Ucraina nella lotta contro l'influenza dovuta agli interessi acquisiti che, se trascurata, potrebbe compromettere gravemente i risultati delle riforme finora realizzate e delle misure di sostegno all'Ucraina nel complesso". 

Sotto il profilo economico, poi, il Parlamento sottolineava la scarsa partecipazione dei sindacati alla contrattazione collettiva, e, per quanto attiene il commercio, esprimeva "preoccupazione per il fatto che l'Ucraina sia classificata dalla Commissione come Paese prioritario della 'categoria 2', il che significa che i diritti di proprietà intellettuale non sono adeguatamente tutelati e applicati", ribadendo "la necessità di rafforzare i controlli e le infrastrutture doganali per prevenire meglio l'ingresso di prodotti contraffatti in Ucraina e il transito al suo interno".

I diritti umani

C'è infine la questione dei diritti umani. Per il Parlamento, in Ucraina "le persone Lgbti e gli attivisti femministi continuano a essere vittime di incitamento all'odio e attacchi violenti", e "i rom sono vittime di un linguaggio discriminatorio e di discorsi di incitamento all'odio da parte delle autorità statali e locali e dei media". Inoltre, "le autorità di contrasto si sono rifiutate in numerose occasioni di avviare indagini in relazione a denunce" di questo tipo di reati, anche per carenze normative. Infine, il Parlamento europeo ricorda la carenza "di progressi nei procedimenti penali relativi alle gravi violazioni dei diritti umani presumibilmente commesse da membri delle forze ucraine, nonché ritardi e progressi insufficienti nelle indagini sui reati di piazza Maidan". 

Per tutte queste ragioni, l'Ucraina è ancora lontana da essere non solo un Paese Ue, ma anche un Paese candidato all'Ue. Senza contare che anche immaginando un processo di riforma rapido per venire incontro alle richieste dell'Unione, l'Ucraina deve fare i conti con le resistenze all'allargamento da parte dei principali membri del club, come Francia e Germania. Ne sanno qualcosa Albania e Macedonia del Nord, che hanno completato da tempo tutte le riforme richieste da Bruxelles. Ma che attendono ancora il via libera definitivo dei governi Ue per entrare nel club. Perché non bastano le leggi e le procedure: per far parte dell'Unione ci sono equilibri e interessi geopolitici difficili da portare a sintesi. E c'è chi ricorda come la fretta di avere Polonia e Ungheria nel club non sia vista oggi come uno dei più grandi successi di Bruxelles.  

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