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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Il Patto di stabilità, chi lo difende e chi lo vuole violare. Ma com'è nata la regola del 3%?

Figlio di un'intuizione di una sera a Parigi, il limite del 3% è stato bollato come "stupido" da chi lo gestiva, Romano Prodi, e violentato per primo dai suoi 'genitori', Francia e Germania. Che ora lo difende a spada tratta contro le richieste di flessibilità

Di Maio vuole sforarlo, Berlusconi lo difende in Europa e lo attacca in Italia, Renzi lo difende e basta, pur chiedendo un po' di flessibilità. Tutti a parlare di lui, del limite del 3% tra deficit e Pil, inserito in calce nell'architettura europea tanto da diventare, nei tempi dell'ultima sanguionosa crisi, un vero e proprio dogma, rafforzato dalla necessità per i paesi dell'euro, di fare ancora meglio, ossia di raggiungere la parità di bilancio.

Ma com'è nato questo limite del 3%, quella cifra che per i suoi detrattori è 'malefica', strozzando le economie europee, e per i suoi fautori è invece 'magica', assicurando stabilità di fronte alle mareggiate dei mercati?

L'intuizione di una sera a Parigi

Ebbene, chiariamolo subito, il tetto del 3% per il disavanzo dei conti pubblici è una regoletta che non ha nessun fondamento macroeconomico. Anzi, è la creazione di un giovane economista, non ancora trentenne, che una sera del 1981 dovette creare su due piedi uno 'slogan' per l'allora neo-presidente francese François Mitterrand.

La storia di Guy Abeille, all'epoca funzionario delle Finanze, ha dell'incredibile: come ha spiegato più volte, una sera del 1981, l'economista, rimasto in ufficio assieme a un collega del ministero, Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin, ricevette una telefonata dal suo superiore, che riportava una richiesta urgente dell'Eliseo.

Dalla presidenza si spiegava che "Mitterrand voleva una norma che fissasse un tetto alla spesa pubblica, una cifra da opporre ai ministri che si presentavano in processione nel suo ufficio a chiedere denaro. Qualcosa di semplice, di pratico, non una teoria economica. Ci è venuto in mente il deficit, abbiamo visto il disavanzo di quell'anno, abbiamo controllato quale fosse il Pil e abbiamo fatto una semplice operazione. Ed è venuto fuori il 3%". "La cosa interessante di questa storia - ha ammeso Abeille - è che a posteriori tutti hanno dovuto legittimare questo parametro e gli economisti hanno elaborato mille spiegazioni scientifiche". Che semplicemente non c'erano: il 3% è il frutto dell'intuizione di una sera.

Da Parigi a Bruxelles passando per Maastricht

Dall'Eliseo a Bruxelles il cammino passa per Maastricht. Nel 1991, ossia dieci anni dopo, quando si entrò nel vivo dei negoziati che avrebbero portato alla moneta unica, il 'paletto' creato per caso in Francia entrò nei trattati dell'Euro grazie al capo negoziatore di Parigi, Jean-Claude Trichet, guarda caso il futuro presidente della Bce.

Per convincere l'allora Ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel - le resistenze tedesche erano fortissime anche nel 1991 - Trichet sottolineò come il tetto fissato dalla Francia "aveva funzionato benissimo" e in una situazione di crescita nominale in Europa di circa il 5%, e un'inflazione al 2% i debiti potevano crescere al massimo del 3 % all'anno, mantenendosi al di sotto del 60% del Pil. Quest'ultimo è l'altro paletto delle politiche fiscali dell'Eurozona, ma assai meno rispettato, basta vedere il caso cronico dell'Italia e quello più recente, ma più acuto, della Grecia, tutti ben oltre il 120%.

Che poi la crescita del 5% non si sia quasi mai vista, è un altro discorso, ma se Trichet non avesse fissato quel numero, probabilmente la Germania avrebbe chiesto un Patto al 2% e sarebbero stati ancora più dolori.

Il 3% diventa architettura comunitaria

Il Patto entra così nell'architettura comunitaria, aumentando il suo ruolo mano a mano che si stringono le maglie della zona euro e si fanno più interconnesse le economie europee. L'entrata, nel 2002, dell'euro fisico nelle tasche e nei portafogli degli europei, chiude il primo cerchio, ma il tutto, come ha insegnato l'ultima crisi, quando la costruzione era ancora incompleta e mancavano una serie di norme per rendere più coesa - e quindi più resistente - la zona euro. 

Il Patto "è stupido, ma necessario", parole di Prodi

Il primo attacco lo lancia un'ispirato e criticato Romano Prodi in un'intervista a Le Monde di metà ottobre 2001. Al diario parigino l'ex premier affermava che "il Patto di stabilità dell'Unione europea è stupido come tutte le decisioni rigide, ma necessario". Per intenderci all'epoca Prodi era Presidente della Commissione Ue, ossia l'incaricato ultimo di vegliare sull'applicazione del Patto. 

Un primo attacco che affrontava il tema centrale della governance: "il Patto - diceva ancora Prodi al diario parigino - è imperfetto, è vero, perché bisogna avere uno strumento più intelligente e con maggiore flessibilità, ma sapete bene che se vogliamo flessibilità e intelligenza, serve autorità e nessuno ce l'ha, questo è il problema. Bisogna avere l'unanimità e questo non funziona. Non possiamo - insisteva il guardiano del Patto - avere un'Europa florida, forte, in crescita, senza poter aggiustare le sue decisioni in ogni momento".

La prima imboscata: "il giorno della ribellione dei governi"

Quelle di Prodi erano parole, che sollevarono non poche polemiche, ma niente in confronto alla prima imboscata in piena regola che attende il Patto, un agguato architettato da Giulio Tremonti, allora ministro dell'economia del governo Berlusconi, che esercitava la Presidenza di turno della Ue, e perpetrato a favore di chi è ora il guardiano più feroce delle sue regole, la Germania. E di chi l'ha creato, la Francia.  

Era il 25 novembre 2003, data che nella ricca ma breve storia comunitaria è nota come il 'giorno della ribellione dei governi', anche se in realtà, come ogni intriga degna di questo nome, la ribellione si consumò di notte. In sostanza, Tremonti, dopo ore e ore di riunioni infuocate, sottomise al voto a maggioranza qualificata la proposta della Commissione di sanzionare Germania e Francia, ree di saltare per il terzo anno consecutivo il limite del 3%. 

E vinse il partito delle non-sanzioni, della linea soft, del dare un altro anno di tempo a Berlino e Parigi per rimettere i conti a posto, in barba alle regole, ma anche per non strozzare l'economia dei due paesi. Votarono contro i falchi di sempre, Finlandia, Olanda ed Austria, più la Spagna. Un anno dopo la Corte di Giustizia della Ue dava ragione ai falchi ed alla Commissione, ma era ormai troppo tardi, lo strappo era stato consumato.  

Il tema della flessibilità è sempre lì

Passato nemmeno un lustro, e con i conti a posto e l'economia rilanciata, la Germania è rientrato a fare comunella con i falchi e ha imposto, dall'inizio della crisi ad oggi, regole ben più dure, inserendo l'obbligo di parità di bilancio nelle economie della zona euro. Al tempo stesso il dogma del 3%, soprattutto da che Jean-Claude Juncker è al timone della Commissione Ue, è applicato non senza un certo margine di discrezionalità, a volte anche politica, per favorire un governo di fronte ai rischi di una scalata considerata populista da Bruxelles. 

Ma anche così il tema della flessibilità del Patto di stabilità, di un'intuizione di una notte, bollata come stupida da chi le gestiva e violata per la prima volta dai suoi più strenui difensori e dai suoi ideatori, è ancora lì, puntuale. E non solo a ogni campagna elettorale. 

  

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