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Sabato, 20 Aprile 2024
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Perché l’Europa non vieta (ancora) l’export dei vaccini

Il caso Pfizer, per le cui fiale servono 280 componenti che arrivano da 19 Paesi diversi. E a detta della stessa von der Leyen, l'Ue è "dipendente da una manciata di produttori” di altri Stati

Se l’Unione europea si fosse tenuta per sé le 41,5 milioni di dosi esportate verso Paesi extra-Ue nei soli mesi di febbraio e marzo, avrebbe avuto abbastanza vaccini per effettuare circa 110 milioni di somministrazioni. Permettendo invece alle case farmaceutiche di esportare le dosi altrove, le vaccinazioni registrate superano a malapena i 60 milioni e i Paesi Ue sono ancora fermi a percentuali di somministrazione ben più modeste rispetto ai competitor extra-Ue. In 25 Stati membri su 27, meno del 20% della popolazione ha ricevuto almeno una dose, con i tre Paesi più popolosi (Germania, Francia e Italia) ancora sotto il 15%. 

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La dipendenza farmaceutica dall'estero

Dati che suggeriscono una soluzione rapida e semplice, peraltro già attuata da altri grandi Paesi occidentali: l’export ban. Il divieto all’esportazione di dosi, a prima vista, permetterebbe all’Unione di aumentare considerevolmente il ritmo di vaccinazione e lasciarsi presto alle spalle il confinamento. Ma i vertici Ue si sono guardati bene da adottare questa decisione perché consapevoli di una realtà difficile da digerire: in campo farmaceutico l’Ue è tutt’altro che autosufficiente. Anzi, le stesse dosi già somministrate finora nel Vecchio Continente probabilmente non sarebbero mai arrivate negli ospedali e nei centri vaccinali senza l’aiuto del commercio globale.

280 materie prime da 19 Paesi per produrre una dose

Dall’occhio del ciclone delle polemiche sui ritardi dell’Ue, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha cercato di spiegare questo problema lo scorso 23 febbraio durante il suo intervento alle Giornate dell'industria Ue. “Una lezione che abbiamo imparato dalla pandemia - ha detto von der Leyen in quell’occasione - è la nostra dipendenza da alcune materie prime provenienti solo da una manciata di produttori” che per alcuni beni “provengono esclusivamente dall’estero”. Una dipendenza “particolarmente evidente ora che dobbiamo produrre miliardi di dosi di vaccini mRna”, quindi sviluppati con una tecnologia differente da quella usata in passato. Ad esempio, il vaccino sviluppato da Pfizer/BioNTech si basa sull’mRna e a detta di Angela Hwang, presidente del settore Biopharma del gruppo Pfizer, per fabbricare una sola dose servono “280 materiali provenienti da 86 diversi siti di fornitura collocati in 19 Paesi diversi”. Di qui la contrarietà alle barriere commerciali espressa più volte dalla casa farmaceutica perché “una produzione di successo dipende dalla nostra capacità di avere canali commerciali aperti e di essere in grado di importare ed esportare in tutto il mondo”. 

L'export ban degli Usa

Incuranti di questo fattore, gli Usa hanno invece scelto di impedire alle case farmaceutiche di esportare dosi di vaccino per puntare su una produzione interna destinata ai soli cittadini statunitensi. Recentemente l’amministrazione americana ha però rivisto questa decisione, aprendo all’export a favore di Messico e Canada. Ma la stessa von der Leyen ha rassicurato che con gli Stati Uniti “vige una reciprocità nei rapporti commerciali” perché “c'è uno scambio fluido di semilavorati, materie prime, componenti farmaceutici, tutti i prodotti che servono a produrre i vaccini”. L’export ban americano vale solo per le dosi finite, mentre il via vai transatlantico di beni essenziali alla produzione di dosi consente a Usa e Ue di continuare a infialare vaccini.

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