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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Perché l'Europa non crede a Conte, Di Maio e Salvini (anche per colpa di Renzi)

Tra le more della bocciatura della manovra, Bruxelles ricorda il caso delle privatizzazioni promesse nel 2015 e nel 2016. E riproposte dal governo gialloverde. Il quale sconta anche il mancato sostegno dei potenziali alleati in Austria, Ungheria e Repubblica ceca

La bocciatura della manovra del governo italiano da parte della Commissione europea è stata sviscerata da media e politici in tutti i suoi aspetti. Ma tra questi ce n'è uno che ci puo' aiutare a capire le ragioni delle diffidenze di Bruxelles e del resto degli Stati membri europei (compresi quei leader e governi "amici" della Lega come l'ungherese Orban o l'Austria dell'alleata Fpo): si tratta del piano italiano sulle privatizazioni.

Come spiega bene Lorenzo Consoli di Askanews, si tratta di uno dei pochi elementi in più che il governo aveva aggiunto nella seconda versione della manovra inviata a Bruxelles dopo la bocciatura del primo Documento programmatico di bilancio (Dpb). Un elemento non proprio nuovo, dato che privatizzazioni e dismissioni di beni pubblici sono comparse a più riprese nelle manovre di bilancio italiane inviate a Bruxelles negli anni passati. Sempre con l'obiettivo di rassicurare la Commissione sul fatto che le spese programmate avrebbero avuto le adeguate coperture per non sforare dagli impegni sul deficit del Patto di stabilità. Rassicurazioni che, pero', si sono dimostrate false. 

Le privatizzazioni

E' la stessa Commissione a ricordarlo nel suo parere. "I proventi delle privatizzazioni hanno disatteso l'obiettivo dello 0,5% del Pil previsto dal governo sia nel 2016 che nel 2017, quando si sono attestati, rispettivamente, allo 0,05% e allo 0,01% del Pil", ricorda Bruxelles. In entrambi i casi, fu il governo di Matteo Renzi a fissare quegli ambiziosi obiettivi. 

Adesso, Salvini e Di Maio ripropongono una ricetta simile: "Per il futuro - scrive la Commissione - il Documento programmatico di bilancio 2019 riveduto prevede ancora proventi da privatizzazioni pari allo 0,3% del Pil all'anno nel periodo 2018-2020". Tuttavia, si obbietta, "riguardo al 2018, tenuto conto di quanto finora ottenuto dalle privatizzazioni e dei modesti progressi registrati fino alla fine dell'anno, la Commissione non tiene conto dei proventi dalle privatizzazioni ex ante", mentre "per quanto riguarda il 2019, alla luce delle proposte credibili e ben precise attualmente in discussione, nelle previsioni è inclusa metà dei proventi previsti". La Commissione ha considerato in sostanza che solo nel 2019 le privatizzazioni produrranno proventi, e che corrisponderanno però solo alla metà di quanto ha previsto il governo.

E gli alleati?

La Commissione, dunque, non crede a Salvini e Di Maio. Anche per colpa di Renzi. O sarebbe meglio dire dell'Italia stessa, dal momento che anche in passato - si pensi all'ultimo governo Berlusconi - quelle italiche si erano rivelate 'promesse da marinaio'. C'è un deficit di credibilità, insomma. A cui si aggiunge la mancanza di un 'appoggio' politico a livello Ue, dato che i tentativi di Salvini e Conte di ottenere il sostegno (o almeno la non belligeranza) di Ungheria, Austria e Repubblica ceca sono falliti. Paradossalmente, il governo più distante politicamente dalla Lega, quello spagnolo a forte impronta di sinistra, è l'unico ad aver speso parole di apertura. 

Il condono fiscale

Non hanno giovato alla credibilità del governo, poi, anche misure che Bruxelles ritiene contrastanti, come il rafforzamento della fatturazione elettronica e il condono fiscale. Apprezzando il fatto che "ci si attende contribuisca a ridurre l'ammanco di gettito Iva, in quanto fornirà all'Agenzia delle entrate informazioni più tempestive e accurate che le consentiranno di svolgere ispezioni mirate, con effetti deterrenti sui contribuenti", la Commissione obietta tuttavia "che le nuove possibilità offerte ai contribuenti di estinguere i debiti fiscali pregressi o di dichiarare il reddito precedentemente omesso, beneficiando di condizioni vantaggiose producano un effetto opposto, premiando implicitamente i comportamenti evasivi". 

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