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Giovedì, 18 Aprile 2024
Dipendenza energetica / Russia

Il nucleare russo non si tocca: perché Europa e Usa non lo sanzionano

Rosatom, il gigante dell'atomo creato da Putin, controlla la centrale ucraina di Zaporizhzhia. Ma né Bruxelles, né Washington pensano per il momento a misure punitive

In termini di scambi commerciali, sembra un business minore. Ma se l'Unione europea, nella sua furia di sanzioni contro la Russia per l'invasione in Ucraina, non ha mai preso in considerazione il settore nucleare, il motivo va cercato anche, se non soprattutto, nella forte dipendenza delle centrali del Vecchio Continente da Mosca. Ben 18 reattori nei Paesi Ue sono di fabbricazione russa e dipendono dal know how di Rosatom, il gigante del settore controllato dal Cremlino. Inoltre, la stessa Rosatom gestisce in Siberia l'unico impianto al mondo capace di riciclare l'uranio scaricato dalle centrali francesi, il 'motore nucleare' dell'Europa. Senza considerare che quasi la metà dell'import di uranio passa direttamente o indirettamente dalla Russia.

La dipendenza da Rosatom

Fondata nel 2007 da Vladimir Putin per mettere a sistema le imprese operanti nel settore e creare un colosso capace di rilanciare l'atomo russo in patria e nel mondo, Rosatom ha perseguito negli anni "una strategia offensiva, offrendo di fornire centrali elettriche 'chiavi in ​​mano'", spiega Le Monde. "La Russia non solo costruisce, mantiene, fornisce competenze tecniche o carburante, ma può anche sostenere il costo finanziario, anche per operazioni considerate rischiose". 

Un dato su tutti: su circa 440 reattori in funzione nel mondo, 80 sono di progettazione russa. Negli ultimi decenni, il Paese ha esportato più unità di qualsiasi altro player. Dei cento reattori in funzione nell'Ue, ben 18 sono legati a Rosatom: 6 in Repubblica Ceca, dove garantiscono il 37% del fabbisogno di elettricità del Paese. In Ungheria ce ne sono 4, che coprono quasi la metà del fabbisogno di Budapest. Altri 4 si trovano in Slovacchia, 2 in Finlandia e 2 in Bulgaria (quest'ultimi responsabili di un terzo dell'elettricità del Paese). Tutti questi impianti dipendono in un modo o nell'altro dai servizi di Rosatom.

Nonostante il conflitto in Ucraina, gli affari del gigante russo continuanao ad andare a gonfie vele. Secondo il World nuclear industry status report, su 53 reattori in costruzione nel mondo a metà del 2022, 20 erano del gruppo Rosatom, di cui 17 fuori dalla Russia. Senza contare l'accordo da poco sottoscritto con l'Ungheria di Viktor Orban per la costruzione di due nuovi reattori nel Paese magiaro: Mosca fornirà un prestito di 10 miliardi a Budapest, mentre Rosatom si occuperà dei lavori, che dovrebbero concludersi nel 2030 con la messa in funzione. Se Orban è stato duramente criticato per il suo sostegno al petrolio russo, l'accordo sul nucleare è passato quasi sottotraccia. Forse, perché di mezzo c'è anche il leader indiscusso dell'atomo made in Ue, ossia la Francia.

Il riciclo 

A differenza dei Paesi alleati dell'Est, Parigi non dipende dalle competenze russe per i suoi 56 reattori: la tecnologia è orgogliosamente transalpina, e il gigante statale Edf è un concorrente di Rosatom a livello internazionale nella costruzione di centrali. Ma c'è un aspetto non marginale del business di Edf che la lega al competitor di Mosca: in Siberia si trova l'unico impianto al mondo capace di riciclare l'uranio scaricato dai reattori nucleari francesi. L'impianto è gestito da Tenex, società satellite di Rosatom, per l'appunto.

Per la Francia, che in tempi normali dipende per il 70% dall'elettricità prodotta dalle sue centrali, il riciclaggio dell'uranio è un fattore fondamentale per abbattere i costi di gestione. Lo è tanto più adesso, con Edf alle prese con metà del parco reattori fermo per manutenzioni e un pesante buco di bilancio. La Francia è infatti uno dei pochi Paesi ad aver optato per il ritrattamento di questo combustibile: le scorie prodotte dalle centrali, una volta raffreddate, vengono separate: il 4% diventa rifiuto finale, che finisce nel deposito di stoccaggio di La Hague, mentre l'1% è costituito da plutonio, usato come base per fabbricare un nuovo combustibile, il Mox. La parte restante, ben il 95%, viene inviata a un'azienda transalpina, Orano, la quale a sua volta la spedisce in Siberia: in questo modo, diventa uranio riciclato. 

Tale sistema consente di ridurre notevolmente la necessità di acquistare nuovo uranio, ma è anche fondamentale per abbattere il peso dello stoccaggio delle scorie radioattive. Secondo quanto ricostruito da Le Monde, il riciclo dell'uranio in Russia è stato sospeso per volontà del governo francese con lo scoppio della guerra in Ucraina: in realtà, fino allo scorso ottobre, Orano ha ricevuto un carico proveniente dalla Siberia, ma dovrebbe essere l'ultimo del contratto in essere con la società di Rosatom. Il problema, adesso, è capire come trovare alternative nel breve termine.

Gli stabilimenti di Orano sono pieni di uranio da riciclare, e più passa il tempo, più si corre il rischio che questo tipo di scoria diventi un rifiuto da stoccare, anziché riutilizzare. Edf ha dichiarato a Le Monde di aver "intavolato discussioni" con Orano e la statunitense Westinghouse per creare un impianto di riciclaggio nell'Europa occidentale. Ma la costruzione richiederà "circa dieci anni". 

L'import di uranio

Senza uranio riciclato, bisognerà fare affidamento all'uranio naturale importato. Anche qui, la Russia gioca un ruolo strategico: dai giacimenti russi, nel 2021, è arrivato il 20% dell'import di questo materiale nei Paesi Ue, secondo l'agenzia europea Euratom. Un altro 23% è arrivato dal Kazakistan, Paese non solo alleato di Mosca, ma che deve passare dal territorio e dalle navi cargo russi per raggiungere l'Europa. 

Una volta estratto, poi; l'uranio naturale deve essere “convertito” e “arricchito”, prima di poter essere utilizzato sotto forma di combustibile: "Anche qui Rosatom esercita un peso reale - scrive sempre Le Monde - Il gruppo controlla il 25% del mercato europeo della conversione e il 31% del mercato dell'arricchimento, cifre che salgono a circa il 40% e il 46% a livello mondiale". Un problema non solo per l'Ue: secondo Paul Dabbar, ex vicesegretario del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, "il mercato più esposto al mondo" alla dipendenza dall'uranio controllato da Mosca è quello statunitense.

Ecco perché la maggior parte degli esperti energetici internazionali ritiene improbabile l'imposizione di sanzioni nucleari alla Russia da parte dell'Occidente. Non che le basi per farlo non ci siano: il caso più eclatante è quello della centrale ucraina di Zaporizhzhia, la più grande d'Europa, che è passata sotto il controllo proprio di Rosatom. Kiev ha lanciato più volte l'allarme per il rischio di un incidente nucleare che avrebbe effetti devastanti anche per l'Ue. Ma per il momento, il gigante russo non è nella lista nera di Bruxelles. Semmai, la questione su cui si dibatte in Occidente è come ridurre la dipendenza da Rosatom e il suo strapotere a livello globale. Ma per fare questo occorrerà più tempo, molto probabilmente più di quello che servirà per dire addio al metano di Gazprom.  

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