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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il caso

"Nuoce alla salute", stessa etichetta su vino e sigarette? Come stanno davvero le cose

In Irlanda, dopo l'ok dell'Ue, le bottiglie dovranno indicare i rischi per la salute legate al consumo di alcol. Perché la misura di Dublino preoccupa l'Italia

L'Europa vuole equiparare il vino alle sigarette, e compromettere così il mercato di uno dei pezzi forti del nostro made in Italy. È quanto si legge su media e social italiani all'indomani della decisione della Commissione europea di dare il via libera al provvedimento con cui l'Irlanda renderà obbligatorio per i produttori di bevande alcoliche l'inserimento su bottiglie e lattine di un'etichetta che avverte sui rischi per la salute umana del consumo di alcol, in particolare sul legame tra tale consumo e il cancro. Secondo Coldiretti, la misura irlandese "è un attacco diretto all’Italia che è il principale produttore ed esportatore mondiale (di vino, ndr) con oltre 14 miliardi di fatturato", e le informazioni sui rischi per la salute sono "avvertenze terroristiche". Ma come stanno realmente le cose?

Le "colpe" dell'Europa

L'accusa a Bruxelles di voler imporre una stretta sul consumo di vino non è nuova: nel recente passato, una proposta simile a quella irlandese, ma che avrebbe riguardato l'intera Ue e non solo l'Irlanda, era finita nella bozza di una risoluzione del Parlamento europeo, scatenando le proteste e le pressioni delle lobby del vino, in primis quelle italiane. Che alla fine ebbero la meglio, facendo ritirare la proposta. Sempre nel recente passato, la Commissione ha minacciato di escludere bevande alcoliche e prodotti a base di carne (salumi compresi) dai fondi Ue per la promozione all'estero dei prodotti commerciali: anche in quell'occasione, l'Italia aveva guidato il fronte dei contrari (tra cui c'era la stessa Irlanda), vincendo la battaglia. 

Le paure dell'Italia

L'Europa, dunque, per il momento non ha imposto nessuna stretta sul consumo di vino, né ha escluso i suoi produttori dall'accesso ai fondi per la promozione all'estero, molto cari ai nostri esportatori. A oggi, solo l'Irlanda ha deciso di muoversi in una direzione più "salutista", prevedendo l'obbligo di un'etichetta che avverta sui rischi dell'alcol. È chiaro che questa etichetta avrà un impatto sui consumi nell'Isola, ma i potenziali contraccolpi commerciali per il vino made in Italy sono limitati: in Irlanda si vendono circa 9 milioni di bottiglie di vino l'anno. Quelle estere sono prodotte soprattutto in Cile, Spagna, Australia e Francia, mentre l'Italia ha una quota di appena il 10%. Se si considera che nel 2021 le nostre bottiglie di Prosecco vendute nel mondo sono state 750 milioni, si capisce quanto marginale sia il mercato irlandese.

Eppure, il nostro governo, insieme a quelli di Spagna e Francia, ha duramente protestato contro il provvedimento di Dublino, cercando di bloccarlo. Perché tanta preoccupazione? La paura dell'Italia è che l'esempio irlandese possa presto venire preso a livello Ue. Il timore non è infondato: nel 2021, la Commissione europea ha presentato un Piano per combattere il cancro in cui inseriva il consumo di alcolici tra i rischi da affrontare, e delineava delle proposte per ridurre del 10% tale consumo (non solo del vino, chiaramente) entro il 2025. Tra le misure delineate ci sono più tasse sugli alcolici, stretta sulla pubblicità (in particolare qualle rivolta al target giovanile), riduzione dei fondi Ue per la promozione all'estero, e l'introduzione di avvertenze sulla salute in etichetta. Si tratta solo di proposte, alune delle quali, come abbiamo visto, sono state già bloccate al Parlamento e in Commissione. Ma non è detto che non ritornino in prima linea.

Lo studio sotto accusa

D'altra parte, se la Commissione europea chiede di ridurre il consumo di alcol una ragione c'è, ed è la stessa che è stata sancita a livello Onu: ci sono evidenze scientifiche che attestano che tale consumo faccia male alla salute. Secondo l'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2016 l'alcol ha causato 291mila morti premature in Europa, e nel 29,4% dei casi di mezzo c'è proprio il cancro. I dati si basano su uno maxi studio pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, nel quale si dice chiaro e tondo che gli alcolici (vino compreso) sono una causa di tumore al pari delle sigarette. Per questo, l'Onu ha chiesto nei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile di ridurre del 10% il consumo mondiale entro il 2025, un target condiviso per l'appunto da Bruxelles.

Tale obiettivo  è stato contestato da più parti, in particolare dal mondo agroalimentare italiano. La contestazione principale è che un piano europeo in tal senso debba distingure tra consumo eccessivo e consumo minimo. "Non fare alcuna distinzione in base al livello ed alle modalità di consumo trasmette un messaggio confuso ai consumatori, non rendendoli consapevoli dei reali rischi per la salute", dice per esempio la Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti. Altro appunto, è che in Italia non c'è una vera e propria emergenza alcol a differenza della stessa Irlanda o di altri Paesi del Nord e dell'Est Europa, che presentano alti tassi di alcolismo. Da noi, tale problema è meno marcato e la tendenza media è a un consumo moderato.

In realtà, lo studio di Lancet sottolinea che i rischi per la salute ci sono sempre, a prescindere dal livello di consumo: il rischio è relativamente basso se associato a un basso consumo, ma basta poco perché aumenti esponenzialmente: nei giovani, l’aumento del rischio è dello 0,5 per cento con un bicchiere al giorno, ma diventa pari al 7 per cento con due bicchieri al giorno e al 37 per cento con cinque bicchieri. È più o meno quello che accade con le sigarette. 

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