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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Il grano dell'Ucraina finisce tutto in Europa e non nei Paesi poveri?

Mosca ha accusato l'Ue di accaparrarsi i prodotti agricoli di Kiev. Ma la situazione è ben più complessa. Ecco quello che Putin non dice

"Escludendo la Turchia come mediatore, praticamente tutto il grano che lascia l'Ucraina non va nei Paesi più poveri, ma in Europa. Solo 2 navi su 87 vanno nei Paesi in via di sviluppo, 60mila tonnellate su 2 milioni". È una delle tante dichiarazioni rilasciate da Vladimr Putin nel corso del Forum economico orientale per attaccare l'Unione europea. Il presidente russo, dopo il difficile accordo trovato con Kiev per sbloccare le esportazioni di cereali del Mar Nero, è tornato a minacciare un blocco, stavolta mirato solo ai dei porti dei Paesi europei, accusati di accaparrarsi il grosso delle esportazioni a danno dei Paesi più poveri. I dati ufficiali sembrano dargli ragione, almeno sulle destinazioni delle navi. Ma la realtà è ben più complessa di come la descrive il leader del Cremlino.

Dove finisce il grano ucraino

Come emerge dai dati dell'Onu, che coordina la Black sea grain initiative insieme ai rappresentanti di Ucraina, Russia e Turchia, più di due milioni di tonnellate di mais, grano, colza, olio di semi di girasole e altri prodotti agricoli hanno lasciato l'Ucraina dopo l'accordo tra Kiev e Mosca raggiunto sotto la mediazione di Ankara. Lo hanno fatto attraverso un corridoio da cui passano in media di cinque navi al giorno che partono dai porti ucraini di Odessa, Chornomorsk e Yuzhni. "Da un punto di vista tecnico - scrive El Pais - il corridoio (...) non ha incontrato ostacoli: tutte le navi (circa 200) hanno superato le ispezioni congiunte di ingresso e uscita. Inoltre, a fine agosto, si è deciso di aprire una terza corsia all'interno del corridoio".

Export di cereali dall'Ucraina a partire dall'1 agosto 2022. Fonte: Un.org

Del totale dell'export, emerge che il 45% delle forniture (circa 900mila tonnellate di prodotti agricoli) sono giunte nei porti dei Paesi Ue. Un'altro 20% in Turchia, mentre gli altri Paesi asiatici (Cina, India e Corea del Sud) e medio orientali (come lo Yemen) si sono divisi una fetta pari a circa il 16%. In Africa, sono arrivate circa 380 tonnellate di prodotti agricoli, principalmente grano, ossia una quota del 19%. Non è chiaro se e come le forniture in Europa conteggino anche dei carichi che sono poi "girati" ai Paesi poveri, per esempio nell'ambito degli impegni dell'Ue nel quadro del Food world programme. 

L'accordo Mosca-Kiev-Ankara

La destinazione delle esportazioni di cereali è decisa da criteri "esclusivamente commerciali", spiega una fonte diplomatica ucraina a El Pais. "Prima della guerra, circa il 35%-40% delle esportazioni di cereali ucraine andava verso l'Ue, tra il 30% e il 35% in Medio Oriente e Nord Africa e lo stesso in Asia, secondo i dati dell'Associazione dei cereali ucraini", continua il quotidiano. Nell'accordo siglato tra Ucraina e Russia non c'è alcuna previsione sulla destinazione della produzione.

“Il Joint coordination center di Istanbul (il centro operativo dell'Onu per l'iniziativa sul grano, ndr) autorizza il movimento delle navi secondo le richieste pervenute dalle autorità portuali ucraine. Il movimento delle navi si basa su attività e procedure commerciali”, spiega Ismini Palla, portavoce Onu della Black sea grain initiative: “Una parte del cibo esportato va a Paesi che soffrono di insicurezza alimentare, ma le esportazioni verso qualsiasi Paese possono aiutare a calmare i mercati e limitare l'inflazione", aggiunge.

In altre parole, stando all'Onu, lo sblocco delle spedizioni sta seguendo per lo più i contratti commerciali in essere tra privati. E questo, al di là delle forniture dirette a chi sta facendo i conti con i maggiori rischi di carestia (si prendano Sudan, Yemen, Gibuti o Somalia), potrebbe avere effetti positivi sui Paesi più poveri calmando i prezzi. Resta, però, il fatto che la mano invisibile del mercato non sta aiutando in termini di equità nelle spedizioni in un momento straordinario. Perché all'Europa è arrivato un ammontare di cereali comunque superiore alla media precedente alla guerra. Mentre chi ne ha più bisogno ha visto ridurre questa quota. Ragionando in termini umanitari, sarebbe dovuto essere il contrario.

Va detto anche che, se si guarda esclusivamente al grano (e non agli altri prodotti, come il mais), i rapporti di forza cambiano. Ai Paesi più a rischio carestia (Sudan, Yemen, Gibuti o Somalia) sono arrivate esclusivamente carichi di grano (nel complesso 150mila tonnellate). In Egitto, sono arrivate 210mila equamente divise tra grano e mais. In Kenya, 51mila tonnellate di grano. Il resto delle spedizioni di solo grano sono andate alla Turchia soprattutto, mentre nell'Ue sono arrivate 30mila tonnellate (15mila all'Italia, il resto diviso tra Grecia e Romania).

Il peso del mais

Semmai, quello che colpisce è la quota nettamente maggiore di spedizioni di mais (44 navi in tutto contro 24 per il grano). Ed è qui, sul mais, che la predominanza dell'Europa è netta: in Italia sono arrivate 102mila tonnellate, in Olanda e Germania 50mila a testa, in Romania circa 80mila, in Spagna addirittura oltre 260mila tonnellate. I carichi di mais, insomma, hanno occupato il grosso delle spedizioni, e questo pone due questioni. La prima è la destinazione del mais, che per lo più serve come mangime per gli allevamenti europei. E lo stesso vale per altri carichi, come quello di colza, che invece vanno bruciati come biocarburante. 

La seconda questione è che in un momento in cui, come ha ricostruito la Reuters, la disponibilità di navi cargo nel Mar Nero è ridotta, tali carichi stanno riducendo le possibilità di spedire grano verso le popolazioni a rischio fame: entro ottobre Kiev sperava di esportare almeno 6 milioni di tonnellate di prodotti agricoli dei 20 milioni rimasti nei silos. A questo ritmo, difficile che si raggiungerà il target. 

Ed è qui che sta il maggior problema. La riapertura della rotta del Mar Nero deve fare i conti con le logiche di mercato: le grandi navi cargo, vista la guerra, sono state indirizzate verso altri mercati, e riportarle nei porti ucraini richiederà tempo, tanto più visto l'incertezza che regna. E che lo stesso Putin, con le sue ripetute minacce, alimenta. Nella lista delle spedizioni dell'Onu compaiono infatti navi di piccole e media dimensioni, mentre la situazione straordinaria che si è creata e l'urgenza di svuotare i silos in Ucraina richiedono cargo più grandi. Tutto ciò sta avendo poi l'effetto di fare risalire il prezzo del grano. 

Quello che Putin non dice

Per concludere, Putin ha ragione quando accusa l'Europa di accaparrarsi il grosso del grano ucraino a danno dei Paesi più poveri? I dati ufficiali, come dicevamo, sembrano dargli ragione. Ma come evidenziato dal Joint coordination center di Istanbul, di cui fa parte la stessa Russia, e dagli operatori del settore delle navi cargo, la situazione è ben più complessa. Una complessità di cui, va ricordato, il primo responsabile è proprio il Cremlino: senza l'invasione in Ucraina, non ci sarebbe stata l'interruzione delle spedizioni, né l'aumento dei prezzi del grano che sta mettendo in ginocchio i Paesi poveri. 

L'ultima invettiva di Putin, la minaccia dello stop all'export agricolo dall'Ucraina all'Europa, ha avuto proprio l'effetto di fare risalire il prezzo del grano di oltre il 3% in un giorno (cosa sicuramente gradita dagli esportatori di grano russi). Inoltre, appena una settimana fa, il 31 agosto, l'esercito di Mosca ha bombardato Mykolaiv, "il secondo terminal cerealicolo più grande del Paese secondo i dati sulle spedizioni del 2021, ostacolando la sua capacità di riportare le esportazioni ai livelli pre-invasione", ricorda la Reuters. Non proprio un gesto umanitario. 

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